Non sono “solo” 9 i miliardi destinati alla sanità dalla bozza del Recovery plan italiano. Perché quella cifra, che appare bassa rispetto alle necessità stimate dal ministro della Salute per una riforma complessiva e ha riaperto le danze sulla necessità dei prestiti Mes, riguarda unicamente assistenza di prossimità, telemedicina e digitalizzazione dei servizi. Il grande capitolo dell’edilizia sanitaria sta invece in un’altra parte del documento, quella sull’efficientamento degli immobili pubblici: è all’interno di quel macro settore, a cui andranno in tutto oltre 40 miliardi, che il governo inserisce “la ristrutturazione e l’ammodernamento delle strutture ospedaliere, con particolare riferimento alle sedi di dipartimenti di emergenza e accettazione”. Per valutare il peso specifico delle risorse europee in arrivo tra 2021 e 2026 e la capacità del sistema di assorbirle va peraltro ricordato che nell’anno del Covid sono stati stanziati per il rafforzamento del sistema sanitario circa 8 miliardi, ancora non spesi del tutto, che si sommano ai 4 miliardi complessivi già messi in campo con la legge di Bilancio per il 2020. E a cui la manovra per il 2021 ne aggiunge altri 4 per la conferma degli assunti a tempo determinato e l’aumento delle indennità contrattuali.

Dopo anni di tagli alle risorse per il personale e incrementi del Fondo sanitario inferiori all’inflazione (cosa che equivale a un definanziamento), la manovra per il 2020 aveva già aumentato il Fsn di 2 miliardi e ne aveva previsti altri 2 per l’edilizia sanitaria. Da febbraio, poi, la pandemia ha riportato in primo piano la necessità di assumere e di ampliare l’assistenza territoriale. Oltre ovviamente a fronteggiare l’emergenza acquistando dispositivi e farmaci. Così già da marzo il governo ha messo in campo massicci finanziamenti aggiuntivi rispetto ai 116,6 miliardi di euro che erano il livello di finanziamento del servizio sanitario previsto pre Covid. Il decreto cura Italia del 17 marzo, il decreto Rilancio del 19 maggio e infine il decreto Agosto hanno aumentato la dotazione del fondo di 3,8 miliardi totali portandolo a oltre 120, come ha di recente ricordato la Corte dei Conti nella memoria sul bilancio previsionale dello Stato (vedi tabella sotto).

A quegli incrementi diretti – destinati in particolare a reclutamento di 36mila tra medici, infermieri e oss, straordinari e creazione delle Unità speciali di continuità assistenziale – vanno aggiunti poi altri 3,1 miliardi di rifinanziamenti del Fondo per le emergenze nazionali gestito dalla Presidenza del consiglio dei Ministri, che è stato utilizzato dal commissario straordinario Domenico Arcuri per comprare ventilatori polmonari, dispositivi di protezione e tutti i farmaci e presìdi che scarseggiavano all’inizio dell’emergenza. Infine, 1,46 miliardi sono stati messi sul piatto per i piani di riorganizzazione delle terapie intensive (con relative “opere edilizie”) affidati alle Regioni per arrivare a una dotazione di almeno 3.500 posti. In tutto si arriva così a oltre 8 miliardi. Spesi solo in parte, perché gli enti locali non sono riusciti ad utilizzare tutti i fondi per le assunzioni a termine anche a causa della carenza di anestesisti e rianimatori e sette Regioni su 21 tra cui la Lombardia secondo l’Agenas non hanno raggiunto l’obiettivo di attivare 14 posti letto di TI ogni 100.000 abitanti.

E’ in questo quadro che arriva il piano su come spendere i soldi Ue, in base al quale sui quasi 196 miliardi della recovery and resilience facility destinati all’Italia (209 considerando anche gli altri capitoli del Next generation Eu) 9 andrebbero all’assistenza di prossimità, su cui “l’Italia evidenzia un forte ritardo rispetto agli altri Paesi Ocse e un’elevata disomogeneità territoriale”, e digitalizzazione del sistema, capitolo che comprende anche il rafforzamento del sistema emergenza-urgenza e interventi di integrazione ospedale-territorio. Il potenziamento della rete territoriale, nella bozza entrata lunedì in cdm, si svilupperebbe in più azioni con una filosofia di fondo: arrivare a una “presa in carico globale della persona all’interno della Casa della Comunità” o della salute da affiancare ad ospedali di comunità “che svolgano una funzione intermedia tra il domicilio e il ricovero ospedaliero”. Previsto inoltre il potenziamento della formazione del personale sanitario con l’ampliamento dell’accesso ai percorsi di specializzazione dei neo-laureati, perché i numeri dicono che “nonostante il numero dei medici sia superiore al valore europeo, il sistema attualmente soffre di una carenza significativa in alcune specializzazioni (prime tra tutti anestesia e terapia intensiva, medicina interna e pneumologia, pediatria)”.

Per quanto riguarda i fondi per la riqualificazione del patrimonio immobiliare, la bozza non dà dettagli sulla ripartizione ma l’edilizia sanitaria è citata come seconda priorità dopo quella scolastica. L’ammodernamento degli ospedali e la realizzazione di nuove strutture valevano la metà del piano da 20 progetti totali per un costo complessivo di 68 miliardi presentato ufficiosamente dal ministro Roberto Speranza a Palazzo Chigi con l’obiettivo di farlo finanziare con il Next Generation Eu oltre che con fondi nazionali. Va ricordato comunque che ogni amministrazione ha messo a punto piani miliardari sperando di ottenere una fetta della grande torta europea per le proprie priorità: alla presidenza del Consiglio sono stati recapitati oltre 550 progetti per un valore ben superiore ai 209 miliardi previsti. Nella bozza esaminata – ma non ancora approvata – dal cdm ne sono arrivati solo 60.

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