Proviamo a ripercorrere ancora una volta quella giornata. Lo abbiamo fatto milioni di volte, sperando di risvegliarci e poter imprecare al classico “brutto sogno”. E invece no, John Lennon, l’8 dicembre del 1980, morì per davvero. A quarant’anni esatti ricostruiamo, nei consueti nove punti del blog, quei momenti. Prendetevi il vostro tempo, magari con un caffè caldo, mentre sul piatto, in sottofondo, scorrono le note di Double Fantasy.

1. Quella mattina si svegliò poco dopo le sette. Il tempo della colazione avrebbe scandito il ritmo di una giornata piena. Il breakfast gustato al “Cafè La Fortuna” lo avrebbe accolto nel suo quotidiano, vissuto nell’illusione di essere un uomo qualunque. Raggiungere il barbiere all’angolo, significava dimenticarsi per un attimo di essere “il mito”, tanto, a ricordarglielo ci avrebbero pensato gli impegni professionali di una giornata intensa. Soddisfatto del taglio retrò, rientrò nel suo appartamento; a breve avrebbe incontrato la fotografa Annie Leibovitz per lo shooting fotografico di Rolling Stone.

2. John venne ad aprirmi indossando una giacca di pelle nera. Aveva i capelli pettinati all’indietro. Rimasi molto colpita perché aveva il suo vecchio look alla Beatles”, disse la fotografa più avanti. Yoko Ono era ovviamente presente ma decise inizialmente di non posare accanto al marito, mentre la fotografa non era della stessa idea. Decisero nello specifico di realizzare una foto con lui completamente nudo mentre abbracciava la moglie vestita, in posizione fetale. Così vennero immortalati sul pavimento color crema del loro salotto. Il tempo dei dettagli li avrebbe ricondotti nel corso della mattinata al piano di sotto del palazzo, dove Dave Sholin li avrebbe intervistati, a stretto giro di posta, per il network radiofonico Rko.

3. Stava forse vivendo un periodo di grande serenità? Il ritorno sulle scene fu salutato dall’entusiasmo generale di critica e pubblico, sebbene non tutti accolsero il nuovo corso nei modi dovuti: ancora oggi Double Fantasy divide. Le certezze però riconducevano alla vita privata. Era felicemente sposato e il piccolo Sean stava crescendo. In una intervista dichiarò il suo amore incondizionato per New York: “Quando vivevo in Inghilterra non potevo nemmeno andare in giro per strada; appena arrivato a New York continuavo a camminare tutto teso, aspettando che qualcuno mi dicesse qualcosa o mi saltasse addosso. Mi ci sono voluti due anni per rilassarmi”. Capito l’antifona? New York lo aveva restituito agli occhi del mondo sotto una nuova veste, pronta per essere raccontata, soprattutto condivisa.

4.Mi alzo all’incirca alle 6, vado in cucina, bevo un caffè, tossisco un po’ e poi mi fumo una sigaretta, mentre guardo il programma Sesame Street con mio figlio Sean. Mi assicuro che guardi la PBS e non i cartoni con la pubblicità. Non mi interessano i cartoni animati, ma non voglio che lui guardi gli spot pubblicitari”. L’intervista con Sholin fu decisamente confidenziale, Lennon parlò liberamente della propria esperienza con i Beatles, del disagio creatosi in quegli anni. Le sue parole restituirono l’immagine di un musicista proiettato nel futuro: i Beatles – per chi non l’avesse ancora accettato – appartenevano al passato.

5. Parliamo ora di Mark Chapman ma facciamolo emancipandoci – almeno per un attimo – dalla noia scaturita nel dover ripercorrere le dolorose tappe della vicenda. A quarant’anni dall’omicidio, l’assassino ha domandato perdono alla vedova del leader dei Beatles, definendo il proprio gesto come un atto egoista e di autocelebrazione: “Non l’ho ucciso per la sua personalità o per il tipo di uomo che era, ma perché era molto famoso”. Un pensiero forse scaturito dopo che per l’undicesima volta gli è stata negata la libertà condizionata? Quell’atto scellerato ha causato devastazione non solo alla famiglia e agli ex membri della band, ma al mondo intero. In ogni caso Mark, avrà la possibilità di ripresentare la domanda nel 2022.

6. Se parliamo di Mark Chapman allora dobbiamo approfondire anche il personaggio di Yoko Ono. Nessuna associazione inconscia tra i due, sia chiaro ma non è forse ovvio che Yoko per milioni di persone sia indiscutibilmente “la stronza del rock and roll”? Era in verità molto altro: artista avanguardista, femminista, ergo figura fortemente indipendente; il ruolo della first lady sorridente e silenziosa accanto al marito superstar non le si addiceva per niente. Non siete convinti? Mettiamo pure “il carico”. Lo scioglimento dei Beatles avvenne tre anni dopo, dall’inizio della loro relazione ma per il pubblico (e i media) fu logico attribuire una relazione di causa-effetto alla questione, sebbene tutti sappiano che la rottura con la Band ufficiosamente avvenne ben prima del loro incontro; il caos nel gruppo regnava sovrano, da tempo.

7. Sempre lei. Forse dopo la morte di John tentò di lucrare alquanto sul marito? Una copertina di un suo album uscito sei mesi dopo l’omicidio del marito ritrae gli occhiali insanguinati di John. Le proverbiali battaglie legali con Paul McCartney per sottrargli quanti più diritti possibili. Anche quelle non sono un optional. Yoko è famosa per essere una persona dispotica e glaciale, lo è stata certamente con Julian, il figlio avuto da John con la prima moglie. Non si contano i litigi a sfondo economico perpetrati negli anni. Una domanda però sorge spontanea: “Curare i propri interessi non è forse quello che ognuno di noi tenta di fare?”.

8. Torniamo indietro, più precisamente Alle 22 e 50 di quell’8 dicembre 1980. Questo è un passaggio che non si può sottendere. Lennon fece il suo ritorno al Dakota Building insieme a Yoko. Scese dall’auto, fece pochi passi verso la porta dello stabile, quando l’ombra di Chapman comparve dal nulla esclamando: “Hey Mister Lennon! Sta per entrare nella storia!”. Puntò la pistola contro il musicista e gli sparò cinque proiettili della Charter Arms calibro 38. John fece pochi passi e si accasciò per terra sanguinante. Le urla della moglie attirarono l’attenzione del portiere del Dakota, Jay Hastings, il quale corse verso Chapman per immobilizzarlo, ma l’assassino, come pietrificato, osservava impassibile la scena del delitto.

9. I poliziotti James Moran e Bill Gamble si diressero al St. Luke’s Roosevelt Hospital. Gamble chiese a John: “Come ti chiami?”. “Lennon” fu la risposta del musicista. Per mantenere in stato di coscienza l’ex-Beatle, l’agente replicò: “Sei sicuro di essere John Lennon?” e la risposta non tardò ad arrivare: “Sì, sono John Lennon”. L’ultima domanda fu: “Come ti senti?”. “Sto male”.

Furono quelle le ultime parole di John Lennon.

Oggi, 8 dicembre 2020, in tutto il mondo vi saranno celebrazioni per ricordare i quarant’anni della sua scomparsa.

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