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“In Italia il diritto all’iniziativa popolare è negato”, la protesta del comitato Politici Per caso. Cappato: “Autorizzare le firme digitali”

Sarebbe dovuta partire ieri la raccolta firme in cinque città per la proposta di legge per istituire le assemblee di cittadini estratti a sorte. Ma a causa della pandemia i banchetti non sono stati autorizzati. Un problema che si inserisce in una questione storica, per la quale l'Italia è anche stata condannata dal Comitato dei diritti umani dell’Onu
“In Italia il diritto all’iniziativa popolare è negato”, la protesta del comitato Politici Per caso. Cappato: “Autorizzare le firme digitali”
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Banchetti referendari con moduli listati a lutto, matite spezzate a metà e militanti con le mani legate. “In Italia il diritto dei cittadini di promuovere referendum e iniziative popolari è del tutto negato“: è la denuncia di ‘Politici per Caso’, il comitato promotore di una legge per istituire le assemblee di cittadini estratti a sorte. Tra i sostenitori della proposta di legge ci sono Marco Cappato, fondatore del movimento dei cittadini europei Eumans, Mario Staderini, primo firmatario, e Lorenzo Mineo, coordinatore di Democrazia Radicale. A sostegno del progetto si sono schierati anche attivisti di Extinction Rebellion e altri movimenti ambientalisti. La proposta di legge è stata depositata in Cassazione a dicembre dello scorso anno.

Dopo lo stop per il Covid a marzo, ieri sarebbe dovuta iniziare la fase di raccolta firme in cinque città. Ma così non è stato. Mentre a Torino e Bologna, a causa della pandemia, non sono stati autorizzati i banchetti in centro città, a Napoli il Comune non ha vidimato i moduli, condizione necessaria affinché le firme siano valide. A Roma e a Milano le amministrazioni comunali non hanno risposto alla richiesta di cancellieri e funzionari che potessero autenticare le firme. La soluzione, sostiene il comitato, è a portata di mano: basterebbe autorizzare le firme online. “È tollerabile che in tempi di pandemia si fermi la democrazia, quando basterebbe consentire la firma online su referendum e iniziative popolari, proprio mentre tutte le attività si spostano in rete?”, domanda il coordinatore Lorenzo Mineo. Ma l’Italia, in questo senso, sembra non avere intenzione di muoversi, nonostante le sollecitazioni dell’Onu.

Il problema di oggi, infatti, si inserisce in una questione storica. “Il problema non è solo il Covid – spiega Mario Staderini, primo firmatario della proposta di legge – Bensì le procedure fatte apposta per impedire ai cittadini di promuovere referendum. A partire dall’obbligo di raccogliere le firme alla presenza di un autenticatore, obbligatoria per legge ma la cui disponibilità non viene garantita“. Basti pensare, fa notare Staderini, che in Italia nessun referendum di origine popolare ha superato la soglia delle 500mila firme negli ultimi 10 anni. Per questo l’Italia è stata condannata dal Comitato dei diritti umani dell’Onu perché viola il diritto dei cittadini a partecipare alla vita politica del Paese attraverso i referendum e le leggi di iniziativa popolare. Il caso era stato sollevato proprio da Staderini e Michele De Lucia nel 2015. La sentenza è basata sulle “restrizioni irragionevoli” che ostacolano il referendum popolare, come l’obbligo di far autenticare le firme da un pubblico ufficiale. La sentenza, datata novembre 2019, dava al governo italiano 180 giorni per mettersi in regola, quindi fino a giugno 2020. Il tempo è scaduto, ma niente è cambiato.

“Mentre in Parlamento si pensa di far votare gli eletti da remoto, nessuno pone il problema di come restituire ai cittadini il diritto intervenire nella vita pubblica – ha affermato Marco Cappato, tra i promotori della legge – Per questo chiediamo al presidente del Consiglio di proporre con urgenza un decreto che consenta la firma digitale su referendum e iniziative popolari, strumenti che devono poter essere attivati soprattutto in una fase di emergenza”. L’obiettivo della proposta di legge – per cui si sarebbe dovuta iniziare la raccolta firme – è istituire in Italia assemblee civiche, una pratica diffusa a livello internazionale e conosciuta come citizens’ assembly: consiste nell’affidare a un consiglio di cittadini, sorteggiati in base a specifici criteri e affiancati da esperti, l’analisi e l’indirizzo su questioni di interesse generale su cui la politica elettorale non riesce a dare soluzioni adeguate. Nel caso specifico, il progetto prevede che la prima assemblea dei cittadini si occupi dell’emergenza climatica.

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