Nei primi nove mesi dell’anno il debito globale, comprensivo di quello pubblico, privato e delle imprese, è aumentato di 50mila miliardi di dollari. Secondo le proiezioni dell’Istituto della finanza internazionale, un’associazione internazionale di istituzioni finanziarie, entro la fine dell’anno l’indebitamento mondiale toccherà quota 277mila miliardi di dollari, pari al 365 per cento del Pil mondiale – nel 2019 questa percentuale era 320 per cento.

Eppure nessuna economia è crollata e gli indici di borsa continuano a salire. Le imprese americane hanno piazzato emissioni di titoli massicce, circa 1,4 miliardi di dollari, e per la prima volta nella storia la Federal Reserve le ha sottoscritte. Non solo aziende come la Apple, che hanno beneficiato ampiamente dalla pandemia, ma anche società duramente colpite dal lockdown, come la Boeing che nel 2020 ha emesso titoli per 25 miliardi di dollari, hanno attinto senza problemi al mercato del credito.

Che succede? La risposta ce la offre in un libro illuminante, The Deficit Myth, l’economista Stephanie Kelton. La Kelton presenta il corpo della rivoluzionaria teoria monetaria moderna, la modern monetary theory, proiettata alla ribalta nel 2019 e 2020 dagli effetti nefandi della pandemia sull’economia mondiale.

Per capire il concetto fondamentale, e cioè che lo Stato che possiede la sovranità monetaria, quindi non è il caso dell’Italia, non può mai fallire, la Kelton usa il parallelo tra bilancio delle famiglie e bilancio dello Stato. Il primo deve evitare che le uscite superino le entrare perché a lungo andare si va in bancarotta. Ma nel caso dello Stato non è così poiché lo Stato stampa il denaro di cui ha bisogno. Lo Stato emette moneta, e quindi la produce, la famiglia la usa e non può produrla.

Va da sé che seguendo questo ragionamento crolla l’idea che lo Stato abbia bisogno delle nostre tasse per investire nelle opere pubbliche, pagare gli stipendi degli impiegati statali o pagare gli interessi sulle obbligazioni, e quindi finanziare il debito. Ma se i soldi con i quali paghiamo le tasse sono stampati dallo Stato, perché farli transitare nelle nostre mani? Lo Stato fa fronte a tutte queste spese stampando moneta. Il compito primario del sistema di tassazione è un altro: redistribuire la ricchezza a favore di un gruppo o un altro della popolazione. Così la politica fiscale di Trump, sostiene Stephanie Kelton, ha favorito i ricchi discriminando le classi medie e medio basse.

I mercati hanno ormai chiari questi concetti e sanno anche che aver stampato così tanto non ha innescato l’inflazione. E così finanziano di tutti. Neppure i settori altamente rischiosi sono stati quest’anno penalizzati tant’è che le emissioni dei cosiddetti junk-bonds nel 2020 sono salite del 70 per cento per un valore complessivo di 337 miliardi di dollari. Persino le società croceristiche sono state in grado di piazzare obbligazioni sul mercato senza problemi.

Il debito sembra essersi sganciato dal rischio e trasformato in un bene da tenere in portafoglio. Alla radice c’è anche l’incentivo ad assumere rischi sempre maggiori, incentivo prodotto dalla scomparsa del costo del denaro a tassi zero e dalla certezza che questi non saliranno nel prossimo futuro. In altre parole, anche una volta superata la pandemia difficilmente vedremo gravitare i tassi e sicuramente il tasso d’inflazione rimarrà eccessivamente basso.

Era dai tempi della teoria monetaria di Milton Freeman che non ci si imbatteva con una nuova interpretazione delle creazione di denaro e gestione del debito pubblico così interessante. In un certo senso la MMT è partita proprio dall’analisi di Freeman, lasciandosi alle spalle le esperienze del gold standard e del gold exchange standard, quando il valore della moneta era legato alle riserve aurifere, e si è focalizzata sui cosiddetti fiat money, la moneta che poggia soltanto sulla fiducia di chi ne fa uso, ed infatti la scritta che campeggia sul dollaro è la seguente ‘ci fidiamo di Dio’. Peccato che l’Italia abbia abbandonato la sovranità monetaria, oggi ci farebbe davvero comodo.

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