La vicenda di Rai Storia con la sua cronaca di una morte annunciata e mai avvenuta né prevista conferma la passione per un nuovo hobby a cui gli italiani amano dedicarsi: manifestare la propria indignazione senza sapere bene di cosa si indignano. E’ successo spesso, in questi mesi di emergenza, riguardo a provvedimenti del governo annunciati dai media e che il governo non aveva nessuna intenzione di prendere; è successo nei giorni scorsi per un’ipotesi di ristrutturazione di alcuni canali della Rai.

L’ipotesi circolata era quella di un accorpamento di Rai Storia con Rai 5, il canale definito genericamente “culturale”. Immediatamente è partito il grido di dolore, tanto vistoso nei termini quanto impreciso nei riferimenti: “vogliono chiudere Rai storia”, “giù le mani da Rai storia”, “attacco all’ultimo baluardo del servizio pubblico”. E via con tutta la retorica possibile e banale sul bisogno di cultura. Basta osservare l’ultimo di questi appelli, quello del baluardo, per capire la confusione che si sta creando.

Ormai lo sanno anche le pietre (è stato spiegato decine di volte bene da autorevoli studiosi, il primo fu Umberto Galimberti) che è un errore identificare il ruolo di servizio pubblico con i contenuti trasmessi. Non è riducendo tutta la programmazione alla divulgazione culturale, dedicandosi solo alla trasmissione di contenuti alti, che si fa servizio pubblico.

Il problema non è il “cosa” ma il “come”. Non è parlando di storia, di arte o di fisica che ci si qualifica come servizio pubblico ma facendo bene, con eleganza, creatività e cultura anche il varietà, il quiz, il ciclismo. Insomma, qui non ci sono “baluardi”: il servizio pubblico c’è sempre o non c’è.

Sgombrato il campo (speriamo) da questo equivoco, entriamo nel merito dell’ipotesi circolata e dei canali coinvolti. I canali “specialistici” della Rai nati nel momento di passaggio al digitale terrestre sono molti, vanno dall’offerta per le varie fasce dei minori, allo sport, all’area culturale. In quest’ultima, in particolare, non mancano i problemi che riguardano due aspetti principali: l’identità del canale e la produzione dei contenuti che deve fare i conti con budget ridotti.

Da sempre si è detto che ci sono sovrapposizioni, sconfinamenti, talvolta veri e propri doppioni pericolosi che minano la costruzione dell’identità. Rai 4, per esempio era nata dalla mente vulcanica di Freccero come una rete un po’ d’avanguardia, in cui si scoprivano le serie, quelle più innovative, impossibili da destinare al pubblico generalista. Ma ora che su quel terreno agiscono colossi come Sky o Netflix che può fare?

Rai Movie, dedicata al cinema, vive senza aver mai scelto se essere “carne” o “pesce”: troppo poco cinefila per intercettare i gusti del pubblico “fuori orario”, troppo misurata, anche nel budget, per diventare il punto di riferimento di chi cerca nel cinema il grande divertimento popolare.

Rai Storia e Rai 5 sono le reti che più si sono imposte all’attenzione e al gradimento del pubblico. La prima grazie al contributo degli storici coinvolti nel progetto, all’uso dei film come materiale di documentazione, alla celebrazione delle ricorrenze come elementi di costruzione della memoria; la seconda per la sua sensibilità e originalità nel risolvere l’annoso problema della musica in televisione e per la scelta di tenere viva la nobile tradizione del teatro in tv (si potrebbe fare meglio ma è un altro discorso, molto lungo e complicato).

In questa situazione complessa, articolata, in cui si intrecciano criticità e buoni risultati, ostacoli economici e soluzioni intelligenti, l’accorpamento tanto paventato potrebbe anche risultare non un affossamento né un ridimensionamento ma una valorizzazione delle reti e della loro identità. L’unione (che davvero come dice il proverbio a volte fa la forza) delle due realtà più solide e vivaci potrebbe dar vita a un polo culturale forte, riconoscibile e coerente senza sacrificare nessuno dei loro contenuti più significativi.

Anzi potrebbe diventare un esempio da seguire anche dalle altre reti in cerca di identità (e di un autore che la realizzi).

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