La Procura indagava sull’ex senatore del Pd, ma un carabiniere lo informava in tempo reale. Anche facendo ‘dossieraggio’ sulla vita privata del magistrato titolare dell’indagine. Così Nino Papania, ex parlamentare dei dem, provava a salvarsi dalle inchieste sul voto di scambio del 2012 ad Alcamo, per cui alla fine venne pure condannato. Almeno per l’accusa della procura di Caltanissetta. I documenti riservati, tra cui esposti e annotazioni di polizia giudiziaria, vennero trovati nel corso di una perquisizione nel maggio 2015. A procurarglieli sarebbe stato il maresciallo Roberto Sabato, all’epoca in servizio nella locale stazione dei carabinieri. Entrambi adesso sono stati rinviati a giudizio dal gup di Caltanissetta, Santi Bologna, con l’accusa di accesso abusivo ad un sistema informatico, rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio. Il processo inizierà il 15 dicembre e si svolgerà con il rito del dibattimento.

Già nel 2013 il consiglio dei garanti dem dichiararono ‘impresentabile’ Papania eliminando dalle liste delle politiche. Recentemente è tornato a far politica con un movimento chiamato Via, che nel trapanese ha fatto il boom alle ultime amministrative, proponendosi come stampella del governo regionale di Nello Musumeci, nella Sicilia occidentale. Il fascicolo dei pm nisseni nasce da un’inchiesta più ampia che riguarda i veleni della Procura di Trapani, a margine delle inchieste condotte sulle elezioni amministrative di Alcamo del 2012, vinte al ballottaggio dal candidato sostenuto da Papania, con 39 voti di scarto. All’epoca il politico sedeva a Palazzo Madama e la sua utenza non era intercettabile. Ma dalle conversazioni registrate sulle utenze dei suoi collaboratori, saltarono fuori le promesse di soldi, pacchi della spesa con le coop accreditate e posti di lavoro, in cambio del sostegno elettorale. Ad altri invece perfino un’assunzione all’Aimeri, l’azienda che si occupava del servizio di smaltimento di rifiuti, in cui l’ex senatore sarebbe riuscito a segnalare otto assunzioni. Per questi fatti si sono svolti due processi al Tribunale di Trapani, in entrambi l’ex senatore Pd è stato condannato: nel 2016 a otto mesi per voto di scambio in concorso, nel 2019 a un anno per corruzione elettorale. La prima sentenza è stata annullata dalla Corte d’Appello di Palermo, per la seconda è ancora in corso il processo d’Appello.

Mentre i processi erano in corso, nel maggio 2015, i militari della Guardia di Finanza, durante una perquisizione nella sede di una cooperativa che per l’accusa era controllata dall’ex senatore, trovarono un armadio pieno zeppo di documenti riservati. La maggior parte dei quali “inerenti procedimenti penali ed indagini di specifico interesse del Papania”. L’ex parlamentare si è sempre dichiarato innocente, sostenendo che si trattava di verbali acquisiti regolarmente dalla cancelleria del Tribunale ed esposti che ogni tanto gli arrivavano, ma la tesi non ha convinto il gup di Caltanissetta. Anche perché, oltre agli interrogatori dei testimoni sul voto di scambio, c’erano delle schede dettagliate su “molti militari dell’Arma riferite alle annualità 2011, 2012 e 2013”. Tra i reperti sequestrati dalla Finanza, c’era anche una “lettera privata” che fu comparata con un ‘pizzino’ sequestrato dai pm di Palermo, che indagavano sulle assunzioni all’Aimeri, nell’ufficio di un dirigente dell’azienda: conteneva un elenco di nomi e nel retro la scritta a stampatello “copiare e distruggere”. Da una perizia quelle frasi risultarono “opera grafica dello stesso Papania”. Negli stessi mesi però la Giunta per il Senato autorizzò l’utilizzo delle intercettazioni precedenti al 2010, rigettando la richiesta per quelle compiute durante le elezioni. L’indagine nel 2015 finì in archiviazione.

Tra i documenti sequestrati negli uffici della coop Futura 2000 c’è anche un piccolo dossier sull’avvocato Roberto De Mari, marito del pm Rossana Penna, titolare delle indagini su Papania. All’indomani del ritrovamento la magistrata si è astenuta dal rappresentare la pubblica accusa nei processi contro Papania, con una lettera in cui scrisse di “gravi intrusioni e interferenze illecite degli indagati nell’esercizio delle funzioni come pure nella vita privata della sottoscritta”. L’ex parlamentare è accusato “quale mandante ed istigatore” del maresciallo Sabato che “accedendo allo Sdi (Sistema di Indagine) nonostante non dovesse svolgere alcuna indagine sul conto di Roberto De Mari e impossessandosi di notizie afferenti alla sfera privata e le vicende giudiziarie di De Mari”. Inizialmente i pm nisseni si erano dichiarati incompetenti per territorio, inquadrando la vicenda nei rapporti tra Papania e l’avvocato, non riconoscendo il pm come parte offesa o danneggiata. Poi dopo essere transitato da Palermo, il fascicolo è tornato a Caltanissetta su decisione della Cassazione.

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