“Papà, non ti preoccupare. Un giorno il mondiale lo vincerò io”. La voce di un bambino di dieci anni si inserisce tra decine di urla e pianti. È il 16 luglio 1950. Il Maracanazo ha appena fatto sprofondare un intero paese nella disperazione. I due hanno ascoltato la partita alla radio insieme ad altri concittadini. A Bauru – un piccolo comune nello Stato di San Paolo – la tv non c’è ancora e la radio non è un bene per tutti. Il padre si chiama Joao Ramos do Nascimento, detto Dondinho. È stato un centravanti di buon livello, soprattutto con la maglia dell’Atletico Clube, la squadra di Bauru. Si era trasferito anni prima da Tres Coracoes, il luogo dove il figlio è nato il 23 ottobre 1940. Dondinho aveva voluto omaggiare Thomas Edison (nella piccola cittadina nello Stato di Minas Gerais l’elettricità era arrivata solo poco tempo prima), dando il nome dell’inventore della lampadina al suo primogenito. Qualcosa però va storto all’anagrafe e così Edison diventa Edson: Edson Arantes do Nascimento, in arte Pelé. “Quando avevo tre anni – ha spiegato il brasiliano nella sua autobiografia – mio padre giocava nel Vasco de Sao Lourenço. Mi portava agli allenamenti e io ero affascinato dal nostro portiere, Bilé. A ogni sua parata urlavo: “Bravo Bilé! Bravo Bilé!”. Tante volte però storpiavo il nome in “Pilé” o “Pelé!”.

Il giovane Pelé non ha solo una grande passione per il calcio. Riesce a fare cose che non si sono mai viste. Ha solo bisogno di essere sgrezzato. E per fare questo serve qualcuno che sappia vedere lontano. Waldemar de Brito è il responsabile del vivaio dell’Atletico Clube. Non è un uomo qualsiasi. Ha giocato il mondiale del 1934 e ha segnato 18 reti in 18 partite con la Selecao. Sotto i suoi consigli Pelé smette di essere un giocoliere e diventa un calciatore. La sua crescita è esponenziale e le sue gesta arrivano fino a Rio de Janeiro. Ma Rio è troppa lontana e così Pelé sceglie il Santos. È l’8 agosto 1956. Ha quindici anni ma due mesi dopo ha già in mano la squadra. La strada per la nazionale è tracciata.

Pelé debutta col Brasile il 7 luglio 1957, in Copa Roca, contro l’Argentina al Maracana di Rio de Janeiro, ad appena 16 anni e 9 mesi. Ha il numero 13 sulle spalle e nessun timore reverenziale. I brasiliani perdono ma Pelé riesce a segnare al debutto. Il mondiale si gioca l’anno successivo e il tecnico Vicente Feola non può fare a meno di lui. Il 24 maggio 1958 sale per la prima volta su un aereo. È un DC7 diretto a Lisbona. Sosta di poche ore e nuovo decollo per Roma. Feola ha deciso che la prima parte della preparazione verso il mondiale si svolgerà in Italia. La squadra alloggia all’hotel Universo, vicino alla stazione Termini, prima di partire per Firenze. In programma c’è un’amichevole contro la Fiorentina. I Viola hanno vinto il loro primo scudetto due anni prima e l’anno precedente hanno perso la finale di Coppa Campioni contro il Real Madrid. Eppure il Brasile vince quattro a zero. Da Firenze a Milano. Altra amichevole contro l’Inter e altro quattro a zero. Il tutto senza Pelé, che sta recuperando da un fastidioso infortunio al ginocchio.

Per vederlo in campo bisogna attendere il 15 giugno 1958, per la terza partita del mondiale. I verdeoro hanno battuto tre a zero l’Austria e pareggiato zero a zero contro l’Inghilterra e devono affrontare l’Unione Sovietica a Göteborg. Per accedere ai quarti di finale da primi del girone serve un’altra vittoria. I sovietici però sono una grande squadra. A Melbourne, due anni prima, sono diventati campioni olimpici e tra i pali schierano Lev Jascin, il più forte portiere del mondo. La tecnica non riesce a nascondere l’emozione del debutto e una condizione fisica non ancora ottimale. Pelé non incide. Ci pensa la doppietta di Vavà a regalare al Brasile il successo. Ai quarti c’è il sorprendente Galles. Si gioca quattro giorni dopo, ancora a Göteborg. I britannici sono una squadra fisica e molto dura. Lo zero a zero regge esattamente 66 minuti, poi la palla arriva a Pelé al centro dell’area di rigore, spalle alla porta. Lo stop di petto è perfetto, il tocco morbido con cui si gira e si libera dell’avversario è geniale. Il destro al volo nell’angolino basso imparabile. Uno a zero. Il Brasile è in semifinale. “Questo per me è il gol indimenticabile perché mi diede la spinta decisiva. Quel giorno il mondo seppe chi era Pelé”. Da Göteborg a Solna. Tra Pelé e la finale c’è solo la Francia. I transalpini hanno segnato 14 reti in quattro partite e sono una delle rivelazioni del torneo. In squadra hanno Raymond Kopa, pluricampione d’Europa con il Real Madrid, e l’attaccante Just Fontaine. Le 13 reti con cui vincerà il titolo di capocannoniere sono ancora oggi un record imbattuto. Ne viene fuori una partita spettacolare. Vince il Brasile cinque a due. Pelé ne segna tre in 23 minuti (le altre reti portano la firma di Vavà e Didì).

In finale ci sono i padroni di casa della Svezia. Si gioca il 29 giugno. Gli svedesi hanno superato in semifinale i campioni in carica della Germania Ovest e racchiudono il meglio che il paese abbia mai prodotto nella sua storia calcistica. Una storia adottata per intero dal calcio italiano. C’è l’ex Milan Gunnar Gren. Ha 38 anni ma anche una classe superiore. C’è Kurt Hamrin, destinato a scrivere pagine indelebili con le maglie di Fiorentina e Milan. C’è Lennart Skoglund, punto fermo dell’attacco dell’Inter. Ma, soprattutto, è presente il milanista Nils Liedholm in mezzo al campo. Il Brasile è costretto a giocare in maglia blu perché gialle sono già quelle svedesi. Le nuove divise vengono acquistate alla vigilia in un supermercato perché nessuno dei brasiliani si era preoccupato di portare al mondiale una seconda maglia. Al Rasundastadion di Solna la partita non tradisce le attese. Nel primo tempo segnano Liedholm e due volte Vavà, poi tocca di nuovo a Pelé prendersi la scena. Per due volte. Nella prima stoppa con il petto, “sombrero” a Gustavsson e destro al volo nell’angolino. Nella seconda fissa il risultato sul cinque a due con un colpo di testa in sospensione. In mezzo ci sarebbero anche le reti di Zagallo e Simonsson ma in pochi se ne ricordano. Tutta l’attenzione ricade su quel 17enne che scoppia in lacrime quando l’arbitro francese Guigue fischia la fine. I verdeoro sono campioni del mondo per la prima volta. Il bambino di Bauru ha mantenuta la sua promessa.

Pelè diventa il simbolo di un paese. Il ragazzo capace di lavare l’onta del fallimento di otto anni prima. Il Brasile lo venera a tal punto che il Presidente della Repubblica deve intervenire per toglierlo dal mercato e impedire che Real Madrid e Inter lo portino in Europa: “Lui è un patrimonio nazionale”. Dal Brasile se ne va solo nel 1974, per iniziare una nuova avventura nei Cosmos New York. In mezzo ci sono due Libertadores, due Coppe Intercontinentali (contro il Benfica di Eusebio e il Milan di Nereo Rocco), altri due titoli mondiali (1962 contro la Cecoslovacchia e 1970 contro l’Italia di Valcareggi) e 1281 reti in 1363 partite. La sua fama è diventata talmente grande che non può esaurirsi con l’addio al calcio. E infatti nel 1981 John Huston lo vuole come co-protagonista di “Fuga per la vittoria”, al fianco di Sylvester Stallone e Michael Caine. Risultati, trionfi e riconoscimenti che hanno contribuito a rendere Pelé uno dei due giocatori più grande della storia. Ma Svezia ’58 non è solo l’inizio della leggenda dell’uomo che oggi compie 80 anni. Dopo quel torneo anche la numerologia calcistica non è stata più la stessa. Prima del mondiale svedese infatti giocare con la 10 non era niente di speciale (il numero venne dato a Pelé da un funzionario della FIFA dopo che i brasiliani si era dimenticati di abbinare i numeri ai giocatori sulle distinte ufficiali). Ventuno giorni dopo il dieci era diventato il numero del calcio. E pensare che tutto questo è nato nel giorno più buio della storia del calcio brasiliano.

Twitter: @giacomocorsetti

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