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‘We are who we are’: Luca Guadagnino racconta l’adolescenza, ma senza cliché

‘We are who we are’: Luca Guadagnino racconta l’adolescenza, ma senza cliché
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Un piccolo taglio sul viso, uno sguardo incerto, acceso di desiderio, la solitudine di una manciata di versi pronunciati tra le mura di scuola, i silenzi di strade che pronunciano lingue differenti dalla propria. We are who we are, la serie Sky diretta da Luca Guadagnino, è un romanzo di formazione dal passo intimista, che procede per immagini e suoni attraverso frammenti di vita solo apparentemente superficiali, come possono sembrarlo le giornate febbrili e fragili di un gruppo di adolescenti spaesati, in cerca della propria identità, estetica, sessuale, affettiva.

Lontani dai luoghi che riescono a immaginare come casa, costretti a muoversi in una società adulta a sua volta schiacciata dalle sue strutture, soffocata dalle sue divise, dalla sua retorica, e condannata a linguaggi di violenza, i giovani protagonisti esplorano i propri corpi, i propri palpiti e i reciproci sguardi, nell’attesa spasmodica di un riconoscimento altrui, di un orizzonte dell’io, di un amore a cui non sanno ancora dare un nome.

Luca Guadagnino affronta tematiche a lui care con la solita delicatezza e con una lodevole avversione per i cliché delle narrazioni generazionali. Il coefficiente di coinvolgimento dell’opera ne giova, perché viene reso più denso dal formato: otto puntate che compongono una narrazione filmica di otto ore.

Ambientata dentro e fuori le mura di una caserma militare americana in Veneto, durante la campagna presidenziale 2016 (quella che vedrà vincere Trump, per intenderci), la serie è prevalentemente incentrata sulle vicende di un gruppo di adolescenti (tra cui spiccano Fraser e Caitlin, interpretati dai notevoli e giovanissimi Jack Dylan Grazer e Jordan Kristine Seamon), ma è di fatto un affresco corale in cui, più che raccontare il mondo odierno, col suo accanimento autoritario e arbitrario su corpi e identità altrui, ci si sofferma sui contrasti che animano il passaggio di poco precedente alla linea d’ombra conradiana, ove la frontiera stavolta non è il mare, ma quel desiderio d’amore che trasuda dai versi di Walt Whitman, pronunciati dalla stessa Caitlin, e dove le navi sono ferme poiché il viaggio si compie con il proprio corpo, dentro e fuori da esso.

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