Un infermiere dettava la linea sulla gestione dell’emergenza Covid a una delle Rsa più colpite del Lazio. È quanto accadeva, secondo i report degli ispettori sanitari, alla residenza per anziani San Raffaele Rocca di Papa – in provincia di Roma – dove, durante le settimane più dure dell’emergenza, si sono registrati ben 43 decessi e 168 casi di positività al Coronavirus, circa la metà dei degenti. La casa di cura fa parte del gruppo San Raffaele di Roma, società di proprietà della famiglia di Antonio Angelucci, re delle cliniche private nel centro sud e deputato di Forza Italia. La specifica, mai emersa finora, è contenuta nel dispositivo di 13 pagine con cui il Tar del Lazio, il 14 settembre scorso, ha respinto il ricorso del San Raffaele contro la revoca dell’accreditamento al servizio sanitario disposta dalla Regione Lazio.

“Molti dei documenti prodotti sono semplici comunicazioni mail – si legge nel provvedimento firmato dal collegio di giudici presieduto da Dauno Trebastoni – in cui si forniscono alcune indicazioni sulla gestione dell’emergenza epidemiologica, quasi sempre a firma del dr. Nicola Barbato, che si firma dirigente delle Professioni sanitarie ma che, a meno di una curiosa omonimia, sembrerebbe un infermiere in carico al reparto Rsa senza alcun incarico formalizzato presso la direzione sanitaria”. A quanto si può apprendere dal sito del San Raffaele e dal profilo Linkedn dell’interessato, Barbato risulta essere un “dirigente infermiere” che si occupava anche di “direzione e organizzazione del personale sanitario non medico” e che addirittura ha coordinato un master di 1° livello in “management infermieristico per le funzioni di coordinamento”. Ma non è un medico. E dunque, secondo i giudici amministrativi, non poteva fare le veci del direttore sanitario, Gianni Rocchi. Il quale, fra l’altro, non aveva i titoli per ricoprire quel ruolo, come ha fatto notare la Asl durante la prima ispezione del 16 aprile, cui è seguita l’immediata rimozione da parte del San Raffaele.

Tutte le mancanze scoperte nella struttura – Il cluster di Rocca di Papa ha rappresentato uno dei cluster più importanti nel Lazio durante il periodo del lockdown. Secondo gli audit della Asl Roma 6, vi erano state delle gravissime violazioni all’interno della struttura, dall’assenza di una separazione netta fra i pazienti Covid e non Covid alla mancata formazione del personale, passando per la carenza di un programma per la gestione del rischio clinico ed errori nello smaltimento dei rifiuti e nel rispetto delle norme igieniche. Il San Raffaele, dal canto suo, ha sempre rinfacciato alla Regione Lazio di non aver permesso ai laboratori dell’Irccs Pisana di processare i tamponi molecolari per il controllo progressivo dei pazienti, obiezione sempre rimandata al mittente prima dagli esperti dell’unità di crisi regionali e poi dal tribunale amministrativo. Il gruppo San Raffaele ha fatto registrare altre situazioni critiche proprio all’Irccs Pisana, nel mese di giugno, con un focolaio che ha raggiunto i 111 contagiati con 5 decessi, e alla Rsa di Cassino.

La replica della struttura ospedaliera – Molto duro il giudizio del gruppo San Raffaele, che nei giorni scorsi ha attaccato la giunta guidata da Nicola Zingaretti: “Non possiamo non censurare il tentativo di voler mettere la corda al collo con giudizi sommari, come si faceva nel Far West”, ha commentato nei giorni scorsi il presidente Carlo Trivelli: “È la prima volta che ci troviamo davanti a una Giunta che vieta di fare i tamponi a chi ne ha fatto richiesta e che immette pazienti positivi all’interno delle Rsa e dei reparti in cui vengono assistiti malati terminali, attribuendo poi la colpa della diffusione dei contagi agli operatori della sanità privata o pubblica”. Il gruppo San Raffaele fa sapere che presenterà ricorso al Consiglio di Stato.

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