All’inizio del 2017 l’American Journal of Preventive Medicine ha pubblicato un articolo della professoressa Danielle Pere, direttrice associata dell’American College of Preventive Medicine, che si è espressa nei seguenti termini: “Invece di uscire dalla visita medica con in mano una ricetta per l’acquisto di farmaci, il paziente dovrebbe uscire con una prescrizione dietetica, la prescrizione di fare attività fisica, di dormire di più, ecc. Vi può sembrare inverosimile?”.

Poi ha aggiunto: “Dobbiamo cambiare gli stili di vita in modo da aiutare le persone a prevenire, curare e far regredire la progressione di molte patologie croniche affrontando le loro cause sottostanti, che sono ad esempio una nutrizione inadeguata, la sedentarietà, il fumo, l’abuso di alcol, lo stress e il poco sonno, per citare solo alcuni fattori eziologici delle patologie”.

Da sempre, cioè da quasi quarant’anni, mi interesso di prevenzione primaria, perché sono convinto che questa sia la “Via Maestra” non per prevenire qualche patologia specifica, ma per prevenire qualsiasi malattia. Penso che la nostra persona, quando è “in salute”, alla lunga sa difendersi meglio di quello che sappiamo fare noi medici.

Certo, talvolta ha bisogno anche di un nostro aiuto, ma il più delle volte sa arrangiarsi benissimo e nella maggior parte dei casi noi non ci accorgiamo neppure delle mille battaglie quotidiane che il nostro organismo intraprende e vince contro batteri, virus e contro quelle migliaia di cellule anomale e anche cancerogene che ogni giorno si formano a causa di piccoli o grandi errori di duplicazione.

Quando visito un paziente, mi chiedo sempre se il suo organismo sia nelle condizioni di poter svolgere bene tutte le sue normali reazioni enzimatiche. Cioè, mi chiedo se dispone di tutti i “mattoni” che gli servono per le sue funzioni fisiologiche quotidiane. Penso infatti a quelle sostanze nutrizionali che sappiamo essere essenziali per la nostra vita biologica, ma che l’organismo non sa sintetizzare: alcune vitamine, i minerali, alcuni aminoacidi, alcuni acidi grassi polinsaturi e altri particolari nutrienti.

Per questo, specialmente quando un paziente presenta una patologia cronica difficile da guarire, cerco di non limitare l’attenzione solo alla patologia nota, ma di allargare lo studio al “tutto” della persona. Quindi, se devo sottoporre il paziente a degli esami ematochimici o strumentali, non mi limito a controllare ciò che la patologia ha compromesso (controllo della malattia) o i tessuti che possono essere sede di una tossicità iatrogena (controllo dei danni della terapia), come si fa durante una chemioterapia.

Questo è necessario farlo, ma penso che sia altrettanto necessario e utile verificare se l’organismo ha tutte le sostanze necessarie per svolgere le sue funzioni di compensazione, difesa, metabolismo, disintossicazione, ecc. in modo da potergli fornire ciò di cui manca (ad esempio, oggi è facile riscontrare carenze di vitamina B12, C e D e anche di rame, manganese e zinco, con aumenti dell’omocisteina e cali esagerati del Dhea solfato).

Se nel nostro organismo tutto è collegato, ne consegue che la patologia non è mai isolata e si sviluppa in un distretto del corpo solo dopo che si è instaurata una alterazione dell’omeostasi di tutta la persona. È per questo che serve una medicina preventiva a 360 gradi (concetto che spiego bene nel mio libro La Medicina che vorrei).

Infatti, penso che la migliore prevenzione non sia solo quella di agire di volta in volta sul distretto dell’organismo che ci appare più debole o alterato, per esempio somministrando farmaci o anche integratori utili per quella singola parte. Penso invece che la prima terapia preventiva, ma anche curativa, di una qualsiasi patologia (al di fuori delle emergenze mediche) dovrebbe essere basata sul tenere perfettamente funzionanti tutti i fisiologici meccanismi difensivi dell’individuo e ciò si può fare solo con qualcosa che agisca a livello dell’intera persona.

In questo modo si agirà addirittura prima di quando si potrebbe intervenire con una normale prevenzione specifica ad azione locale, perché sarà il “tutto” dell’intero organismo che provvederà a riequilibrare le sue funzioni appena qualcosa dovesse solo iniziare a squilibrarsi e quindi prima anche che noi medici ci si possa accorgere di una alterazione funzionale.

In conclusione, il Clinico dovrebbe fare un’analisi globale che consideri tutta la persona del suo assistito e dovrebbe consigliare un intervento preventivo o curativo che non abbia per obiettivo solo la scomparsa dei sintomi, bensì la scomparsa dello squilibrio che è all’origine dei sintomi.

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