È già passata una settimana, ma ancora si discute, nei media britannici, sulla sorprendente affermazione del Segretario per l’Irlanda del Nord, Brandon Lewis, che ha ammesso in Parlamento che un disegno di legge (Internal Market Bill), in votazione in questi giorni, “viola il diritto internazionale” seppure “in un modo molto specifico e limitato”.

Andrew Marr (Bbc) ospita nella sua trasmissione il ministro britannico della Giustizia, Robert Buckland, e cerca di capire: “Se si violasse la legge internazionale, sarebbe il momento in cui Robert Buckland darebbe le dimissioni?” La risposta è molto curiosa: “Dovessi vedere lo Stato di diritto violato in un modo che trovo inaccettabile, ovviamente me ne andrei… ma non siamo a questo punto… non credo che ci arriveremo”. Purtroppo Buckland non approfondisce e non sappiamo ancora se, a suo giudizio, le violazioni specifiche e limitate siano accettabili o inaccettabili.

A ben vedere non si può neanche affermare che le violazioni previste da questo Internal Market Bill siano poi così specifiche e limitate: garantiscono un accesso senza restrizioni delle merci nordirlandesi al mercato interno del Regno Unito (pagina 31, parte 5, numeri 41 e 42) e aggirano l’articolo 10 sugli aiuti di stato del Protocollo sull’Irlanda del Nord, contenuto nell’Accordo di Recesso, rimuovendone gli effetti (pagina 31, parte 5, numeri da 43 a 45).

Il ministro Buckland viene intervistato anche da Sophie Ridge, nel corso del suo programma domenicale su Sky news, che affronta sia il tema delle norme anti Covid che gli interrogativi creati dall’Internal Market Bill. La domanda è inevitabile: “Possiamo infrangere la regola che ci impone di non incontrare più di sei persone contemporaneamente se lo facciamo in modo specifico e limitato?” Naturalmente la risposta non arriva. Il ministro ridacchia e fa solo considerazioni sparse sulla necessità di aiutarsi reciprocamente salvando vite umane e su un generico impegno del governo a rispettare lo stato di diritto.

La situazione è imbarazzante ma nessuno, in questo governo, pare provare imbarazzo, che invece viene espresso anche da molti Conservatori i quali, al momento del voto in Parlamento, potrebbero bocciare la proposta, mentre si levano forti critiche anche dalla camera dei Lord.

Se la legge, nonostante tutto, venisse approvata, si potrebbe ancora ricorrere alla Judicial Review, come nei casi Miller e Prorogation, arrivando fino alla Corte Suprema, ma il governo e il ministro Buckland già si preparano a scongiurare questo pericolo grazie alle modifiche procedurali che hanno messo in cantiere per rendere l’accesso alla Judicial Review sempre più difficile.

Boris Johnson e i suoi sono decisi a fare a modo loro e mal sopportano il controllo di legalità e qualsiasi altro controllo. A parole si dichiarano fedeli alla “rule of law” ma, nei fatti, dimostrano di considerarsi al di sopra della legge e non lo nascondono, dimenticando che “ministri e incaricati di pubblici uffici, a tutti i livelli, debbono esercitare i poteri loro conferiti in modo ragionevole, in buona fede, tenendo conto degli scopi per cui i poteri sono stati loro affidati e senza eccedere i limiti di tali poteri”.

Le loro pretese ricordano stranamente quelle di Giacomo I Stuart come ce le ha raccontate un celebre giurista e giudice, Sir Edward Coke, nei suoi Reports, ma Coke scriveva nel 1607, non nel 2020: “…Una controversia tra due parti, riguardante una proprietà, era stata portata a giudizio davanti al re, che aveva emesso la sua sentenza. Questa fu annullata con la motivazione che non era stata ottenuta secondo la Common Law. Allora il Re disse che pensava che la legge fosse fondata sulla ragione e che anche lui e altri possedevano la ragione, come i Giudici. Al che io risposi che era ben vero che Dio aveva dotato Sua Maestà di scienza eccellente e grande talento naturale, ma Sua Maestà non era istruito nelle leggi del suo regno d’Inghilterra e le cause che riguardano la vita, o l’eredità, o i beni, o le fortune dei suoi sudditi non vanno giudicate secondo la ragione ‘naturale’ ma secondo la ragione ‘artificiale’ e secondo la legge, la cui conoscenza presuppone lungo studio ed esperienza prima che un uomo possa dire di padroneggiarla, e che la legge era il criterio e la magica bacchetta d’oro per decidere nelle cause dei sudditi; e che la legge proteggeva Sua Maestà in sicurezza e pace. Al che il Re si dichiarò assai offeso e disse che allora egli si sarebbe trovato sottoposto alla legge, e che affermare questo equivaleva a commettere tradimento. Al che io dissi che Bracton sosteneva quod Rex non debet esse sub homine, sed sub Deo et lege” (che il Re non dev’essere soggetto agli uomini ma a Dio e alla legge).

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