Una vita passata dall’altra parte della barricata. Una corsa a perdifiato in direzione ostinata e contraria, per dirla con le parole di Fabrizio De André. Perché niente come il confitto aiuta a creare una narrazione di se stessi, a definire la propria identità. Pasquale Casillo ha smesso di combattere l’altra sera, quando per la prima volta ha dovuto alzare bandiera bianca. A 71 anni il “Re del grano” si è arreso alla malattia che lo sfibrava da anni. Carattere spigoloso ma allo stesso tempo sorridente, Casillo è stato un uomo dalle contraddizioni apparenti. L’opulenza arriva grazie a una visione imprenditoriale fuori dal comune. A 40 anni è il titolare, insieme al fratello minore Aniello, di un gruppo industriale che macina milioni. Nel vero senso della parola. Nel dopoguerra il padre Gennaro vende frutta secca e cereali. È un’impresa destinata a diventare un gigante. Nel 1989 i Casillo sono i primi molitori d’Europa, con un fatturato che sfonda quota mille miliardi di lire. Ogni anno producono circa il 10% dell’intera produzione di semola della Cee, coprono da soli circa il 60% del fabbisogno della Buitoni. La loro semola viaggia ogni giorno su gomma, stipata su 250 tir, e via mare, su 30 navi, dando lavoro a quasi mille persone.

Ma è il calcio il biglietto da visita che lo fa conoscere agli italiani. Verso la fine degli anni ottanta Casillo acquista il Foggia, trasformandolo nel giro di pochi anni in una squadra ambiziosa. Tutto inizia nel 1986, sui campi di periferia della C1. Il Foggia ospita il Licata allo Zaccheria. E vince 4-0. Solo che il direttore sportivo rossonero, Peppino Pavone, rimane folgorato dall’allenatore degli avversari. Si chiama Zdenek Zeman ed è il profeta di un calcio mai visto prima. Il ds cerca di convincere il presidente a ingaggiarlo. Ma è un’operazione più difficile del previsto. Dopo qualche tempo Casillo dà l’ok all’affare. La prima stagione è piuttosto complicata. Il Boemo viene esonerato dopo neanche 30 giornate. Ma è un arrivederci. Nel 1989 il Re del grano lo richiama a Foggia. In Serie B. E stavolta è l’inizio di un miracolo sportivo. Nel 1990 i rossoneri chiudono ottavi fra i cadetti. L’anno seguente vincono il campionato e salgono in Serie A. Tutta Italia rimane incantata da quel calcio fatto di sudore e di totale devozione alla causa, di schemi mutuati dall’hockey e di manovre veloci come mosse di karate.

Sembra socialismo applicato al pallone, un piccolo mondo fatto di gradoni, di sacchi di sabbia da portare sulle spalle e di corse infinite con calciatori che prima smoccolano durante il ritiro e poi volano sul prato verde. Il debutto in Serie A è di quelli da stropicciarsi gli occhi. Pareggio in casa dell’Inter, sconfitta di misura contro la Juventus, vittoria esterna con la Fiorentina. La Serie A comincia a imparare i nomi di Shalimov, Kolivanov, Rambaudi, Baiano. Ma soprattutto di Giuseppe Signori. La prima volta che lo vede Zeman lo saluta con un “Ciao bomber”. L’attaccante rimane spiazzato perché di gol, in realtà, non ne aveva mai segnati così tanti. Almeno prima di quell’incontro. Il primo anno di Zemanlandia corre via veloce fra vittorie abbaglianti e funeste sconfitte (4-1 dalla Juve, 5-2 dalla Lazio). A fine anno però la neopromossa è nona in classifica. Ogni volta che Casillo apre bocca regala una perla ai giornalisti. “Penso a un salto in Europa, non faccio un discorso presuntuoso”, dice. “Quando parlo di Uefa e di scudetto è una provocazione: la provincia ci sta stretta. Fra tre mesi tutti vedranno”, giura. E ancora: “Non era una battuta quando ho detto che nella nazionale, contro Cipro, dovrebbero giocare undici foggiani. Siamo noi il modello, una squadra giovane che ha obiettivi, che sa lavorare. E per me Signori è migliore di Vialli”. Ma Casillo sogna in grande. Lui che è di San Giuseppe Vesuviano si autoproclama successore di Ferlaino e spera di comprare il Napoli. Poi cerca di prendere una Roma a pezzi. Senza dimenticare le compartecipazioni nel Bologna, nella Salernitana e nella Sangiuseppese.

Casillo si sente forte e inizia a specializzarsi nell’arte della polemica. “A Foggia non c’ è stadio, non c’ è Comune, non c’ è popolo – dice nel 1992 – Abbiamo giocato tutto l’anno con una deroga concessaci dal prefetto a patto che fossero fatti certi lavori all’ impianto. Il Comune non ha mai fatto nulla. La squadra che io devo ora costruire è adeguata a questa città. Io sono costretto a vendere, per non finire in mezzo alla strada”. Nella seconda stagione in A il Foggia chiude dodicesimo. Ma per Casillo è già tempo di ingaggiare una nuova battaglia. Stavolta contro Silvio Berlusconi, che ha messo gli occhi (e il portafogli) su Baiano. “Il giocatore si è già venduto al Milan, tanto è vero che rifiuta altre offerte, comprese le mie – spiega – Solo che vuole rimanere qui un’ altra stagione, così che l’anno prossimo se ne va per soli quattro miliardi. Mi dispiace solo per mia figlia che guarda i fumetti della Fininvest e poi deve dire: quelli hanno rubato dei miliardi a papà”. Nel terzo anno di Serie A finisce nono. Ma per Zeman è arrivato il momento di una nuova sfida: la Lazio. Il divorzio mette fine alla favola del Foggia dei miracoli.

I pugliesi retrocedono e iniziano la picchiata verso la Serie C. Casillo vende, ma rischia di venire travolto dalle vicende giudiziarie. Le rivelazioni del pentito di camorra Pasquale Galasso gli valgono l’accusa di associazione camorristica. Una macchia che il presidente si toglierà solo 13 anni più tardi quando i giudici del tribunale di Nola lo assolveranno per non aver commesso il fatto. Casillo è amareggiato ma ha ancora voglia di calcio. Fra il 2002 e il 2004 acquista l’Avellino. Ha in mente una nuova sfida. E per vincerla chiama il sodale di una vita. Solo che le cose non vanno per il verso giusto e Zeman saluta per andare a Lecce. L’ultimo sogno è datato 2010. Casillo si riprende il Foggia. E chiama affida ancora una volta la panchina al Boemo. È tornata Zemanlandia. O almeno così sperano i tifosi. In Lega Pro esplodono i talenti di Romagnoli, Laribi, Faria, Lorenzo Insigne e Sau. Ma non è abbastanza. Il Foggia manca l’appuntamento con la promozione. Zeman e Casillo sono ancora uniti nella lotta contro il sistema: “Abbiamo avuto troppi torti – dice a fine stagione il boemo – ero venuto per vincere il campionato e penso che il prossimo anno, la mia presenza, non porterà a ottenere la promozione”. È l’epitaffio sull’idea di restaurazione di Zemanlandia. Qualche mese dopo si arrende anche Casillo, finisce la sua era. Perché non tutte le favole possono avere un lieto fine.

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