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Armine Harutyunyan, per me non è bella. E non lo è neanche la collezione Gucci, se parliamo così tanto della modella

Armine Harutyunyan, per me non è bella. E non lo è neanche la collezione Gucci, se parliamo così tanto della modella
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di Giusy Cinquemani

Allora, dato che i guai non sono ancora finiti, siamo ancora in piena pandemia, parliamo di cose altrettanto gravi, ma all’apparenza meno serie, la questione della modella dell’ultima campagna della maison Gucci.

Sono già state scritte tante parole in merito, su chi, cosa e come si fa a dire cosa è bello. Allora nel caso in questione è semplice: la modella è brutta perché, se fosse stata bella, non staremmo qui a parlarne da giorni. E i primi a saperlo sono la medesima e il creativo che ha pensato ad utilizzarla, uso deliberatamente il termine uso, perché di uso si tratta. Uso dell’immagine, non della persona, ma uso. Fosse stata bella, o fosse stata veramente bella la collezione del creativo Alessandro Michele, avremmo parlato di questo, forse.

Non è la prima volta che la maison Gucci opta per campagne provocatorie, in cui le collezioni passano in secondo piano, come se non contassero – e io credo che l’Haute Couture non conti – e diventa invece importante discutere, per esempio, ancora una volta, se è giusto, etico, etc. scegliere ragazzine con problemi alimentari al limite del ricovero. Direi, andate a farvi un giro su Internet per verificare quanto poco hanno a che fare con la possibilità di essere indossati gli abiti della casa di moda, buoni per i personaggi di un film in costume, ma inutili per le persone vive.

Vi direi, andate a vedere, se soltanto non avessi letto che – grazie all’esposizione consapevole allo shit storm contro la modella – c’è stata un’impennata di ricerche sulla casa di moda su Google, salutata come un grande risultato. Wow! Forse era questo allora che si cercava di ottenere e non una campagna di pubblicità progresso sull’inquinamento da ceretta con un nuovo hashtag #anchiohoibaffi?

Un’altra campagna pubblicitaria di altri con lo stesso pelo sullo stomaco, di poco precedente, e fortunatamente ritirata, è stata quella dell’Audi, con la bambina che mangia una banana. In questo caso si è parlato di Finestra di Overton, di sdoganamenti di pedofilia. Non so.

Quello che è chiaro, in questi due casi, è che la campagna pubblicitaria è figlia del mercato e che la bruttezza di entrambe cerca di solleticare attraverso la coltre di buio depressivo che incombe sulla nostra società. Una coltre che, coprendo oramai la luna, ha addestrato lo sciame a guardare solo il dito.

@GiuCinque

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