Cinema

Mostra del Cinema di Venezia 2020, Lacci di Daniele Lucchetti sarà un piacere perfino tornare a vederlo in sala

In mancanza di un’apertura con il filmone autoriale americano, quello bello contrito e impegnato ma con grandi star che punta agli Oscar, ci accontentiamo senza dubbio di un ritrovato regista – almeno da tre film a questa parte, Io sono tempesta e Momenti di trascurabile felicità – che ha trovato pure una formula commerciale per rivolgersi ad un largo pubblico

di Davide Turrini

Se siete figli di genitori separati Lacci di Daniele Luchetti, film di apertura di Venezia 77, vi riaprirà la ferita senza che nemmeno ve ne accorgiate. In mancanza di un’apertura con il filmone autoriale americano, quello bello contrito e impegnato ma con grandi star che punta agli Oscar, ci accontentiamo senza dubbio di un ritrovato regista – almeno da tre film a questa parte, Io sono tempesta e Momenti di trascurabile felicità – che ha trovato pure una formula commerciale per rivolgersi ad un largo pubblico. Insomma, Lacci non ci è dispiaciuto affatto, anzi. Come dice il suo regista, nonché sceneggiatore con Francesco Piccolo e Domenico Starnone (autore anche del libro da cui il film è tratto), Lacci potrebbe riassumersi in un’esilissima trama: una coppia si separa. Cinque minuti iniziali di film, Napoli, primi anni ottanta. Aldo (un Luigi Lo Cascio che, ripetiamolo, è uno dei più grandi attori italiani degli ultimi trent’anni), è un conduttore di programmi radiofonici culturali della Rai che, dopo aver riaccompagnato a casa i figli da una festa di carnevale, prende da parte la moglie Vanda (Alba Rohrwacher) e le dice di essere stato con un’altra donna. “È successo”. Spiega bofonchiando tra le quattro mura un po’ buie del tinello di casa. Vanda la prende malissimo e la cacciata del marito di casa fa andare subito in frantumi la coppia soprattutto come solido appiglio per i due figli piccoli.

L’andirivieni di Aldo con Roma, dove c’è la sede Rai, gli studi radiofonici ovattati e vellutati, nonché la giovane e solare amante (Linda Caridi), fa a pugni con le richieste di stabilità casalinghe, non proprio bucoliche su cui comunque punta Vanda. Il botta e risposta, anche a momenti violento, ricade tutto sull’emotività e la fragilità dei bimbi che guardano, osservano, tremano, vomitano. Dopo una mezz’oretta c’è il primo salto temporale, con Aldo e Vanda settantenni (Silvio Orlando e Laura Morante – sempre regina) in procinto di andare in vacanza al mare in Francia, con lui che si fa fregare venti euro da una bella e sinuosa ragazzina che gli ha consegnato un pacco entrando in casa. Quando siamo a circa metà film i due blocchi narrativi cominciano temporalmente a mescolarsi, con una preponderanza comunque per la prima coppia e il set anni ottanta, aiutato da un’accoppiata costumi e trucco dannatamente vintage, dove il tira e molla tra i protagonisti vive della sua intensa e fisica età adulta. Fino a quando la cosiddetta trama recupera quota e c’è una piccola accelerazione che ci porta ad una terza ed ultimissima parte – forse un po’ troppo teatrale – con i figli adulti (Adriano Giannini e Giovanna Mezzogiorno) nella casa vuota degli anziani genitori. I due dovrebbero dare da mangiare al gatto in attesa del ritorno dei due dal mare, ma si sa che gli strascichi familiari rischiano di essere, appunto, legami, corde, cappi che rimangono a penzolare per la vita.

Lacci è un film incredibilmente vivace, denso, tumultuoso, nonostante la tragicità di fondo della separazione illustrata. La regia di Luchetti cerca volontariamente di non dire, di evitare la didascalia, di frammentare i colpi di scena possibili, di costruire senso senza dover sempre sottolineare con un apice recitativo o una singola scena madre. Sono i frammenti sparsi, ben congegnati, selezionati e ottimamente montati (è sempre Luchetti, ma ve l’abbiamo detto che si sente auteur e ne ha tutte le facoltà) di questo disgregarsi innervato dal silenzio dei protagonisti giovani, dal girare attorno alla responsabilità di un tradimento, e non da meno da una cocciuta e innaturale ricucitura, che rendono Lacci un lavoro poeticamente delicatissimo e stilisticamente prezioso. Sarà che alcune sequenze sono come un po’ nate per caso, ma il lavoro di Luchetti sul suono, anzi, quasi da una preventivata assenza improvvisa di suoni, rumori, dialoghi, dove la forza dell’immagine deve trascinare e incollare lo spettatore, sorprende come fossimo di fronte ai migliori auteur anni settanta. Sul sonoro due esempi, soprattutto per i giovani registi alle prime armi: l’arrivo di Vanda dentro la cabina radiofonica a Roma dove sta registrando Aldo e l’ascolto per lo spettatore che si divide per poche decine di secondi in tre fonti diverse (la voce off radiofonica di Aldo, l’amplificazione dei microfoni ascoltata da fuori cabina, la parte finale della sequenza modello film muto); la silenziosa aggressione di Vanda in strada ai danni di Aldo e dell’amante con i bimbi che guardano dall’auto con i visi incollati al finestrino. Allo stesso tempo per ricucire il capo con la coda, tessere sottotesti sostanzialmente psicologici, Luchetti ha selezionato un brano delle Kessler – Lasciati baciare col Letkiss – che piomba in omaggio da Io la conoscevo bene di Pietrangeli e qualche stralcio di musica barocca (“musica che mette in ordine ciò che in ordine non vuole stare”, ha spiegato il regista). Tra gli attori spicca Lo Cascio, semplicemente perfetto tra l’illusoria dolcezza paterna e il naturale cinismo del tradimento. Mentre è il produttore Beppe Caschetto, eminenza grigia della tv che conta, quello dei primi successi cinematografici di Luca&Paolo, ma soprattutto dell’ultimo Marco Bellocchio con Il Traditore, che ha visto lungo acquistando i diritti del libro di Starnone e chiedendo a Luchetti di lavorarci su. Lacci uscirà il 1 ottobre nelle sale italiane. Sarà un piacere perfino tornare a vederlo in sala.

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