I verbali del Comitato tecnico scientifico, richiamati in tutti i Dpcm emanati per la gestione dell’emergenza sanitaria e finora rimasti segreti, sono stati desecretati da Palazzo Chigi. Lo comunica la Fondazione Luigi Einaudi in una nota, ringraziando “la presidenza del Consiglio dei Ministri per la sensibilità dimostrata” e annunciando che verranno resi pubblici sul proprio sito web “nella giornata di domani”. I documenti erano finiti al centro di un braccio di ferro giudiziario tra il centro di ricerca torinese e il governo, tanto che a farne richiesta nelle scorse ore si era aggiunto pure il Copasir. Ma ora il premier Giuseppe Conte ha deciso di porre fine alla questione. “La Fondazione Luigi Einaudi annuncia che pochi minuti fa gli avvocati Rocco Todero, Andrea Pruiti ed Enzo Palumbo hanno ricevuto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri la documentazione a suo tempo secretata del Comitato tecnico scientifico posta a base dei Dpcm”, si legge nel comunicato diffuso dall’ente piemontese. “È stato così accolto l’appello che il presidente della Fondazione Einaudi, Giuseppe Benedetto, ha rivolto al presidente del Consiglio Conte di far prevalere informazione e trasparenza rispetto ad elementi di tale rilevanza per la vita dei cittadini italiani”.

Tutto è iniziato nell’aprile scorso, quando la onlus ha chiesto l’accesso ai documenti degli scienziati datati 28 febbraio, 1 marzo, 7 marzo, 30 marzo e 9 aprile 2020, cioè quelli redatti nel pieno della pandemia e citati più volte dai Dpcm con cui il premier ha regolamentato il lockdown del Paese. Il motivo? “Al fine di consentire agli italiani di conoscere le vere motivazioni per le quali, durante l’epidemia da Covid 19 sono stati costretti in casa, anche in quelle regioni o in quei territori dove non si sono registrati casi di infezione”, hanno spiegato gli avvocati della Fondazione. Ma di fronte alla risposta negativa da parte delle istituzioni, si è deciso il 26 maggio di presentare un ricorso al Tribunale amministrativo. Che ne ha accolto le ragioni. Contro il verdetto del Tar (22 luglio), il governo ha presentato ricorso a sua volta (28 luglio). La tesi di Palazzo Chigi è che il segreto sia necessario perché si tratta di atti amministrativi e perché devono essere tutelati “la sicurezza pubblica” e “l’ordine pubblico”.

Tramite l’avvocatura generale dello Stato l’esecutivo ha quindi presentato 25 pagine di ricorso sostenendo che quella del Tar sembrava una “pronuncia di superficie“, che non era stata “compresa a fondo la complessità e l’assoluta novità della questione” e che l’ostensione dei verbali poteva provocare un “danno concreto all’ordine pubblico e la sicurezza“. È stata anche chiesta, dall’avvocato dello Stato Salvatore Faraci, la sospensione del verdetto del Tar perché nel caso di una decisione opposta ci sarebbe stata una “lesione irreparabile e non sanabile della posizione giuridica dell’Amministrazione”. La decisione del Consiglio di stato è arrivata il 31 luglio, ma di fatto ha rimandato tutto alle decisioni di un collegio. Per il giudice i decreti e di conseguenza i verbali “sono caratterizzati da assoluta eccezionalità, e auspicabilmente, e unicità”. Ma “non si comprende, proprio per la assoluta eccezionalità di tali atti perché debbano essere inclusi “nel novero di quelli sottratti alla generale regola di trasparenza e conoscibilità da parte dei cittadini, giacché la recente normativa – ribattezzata freedom of information act sul modello americano – prevede come regola l’accesso civico” e come eccezione la non accessibilità. Da qui la necessità di rimandare tutto a una valutazione più approfondita. Una vicenda delicatissima di cui poi si è interessato pure il Copasir e che ora, almeno dal punto di vista pratico, si è chiusa con la decisione di Palazzo Chigi di rendere tutto pubblico.

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