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Noi disabili non possiamo diventare imprenditori. Altro che autonomia

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di Roberto Severoni

Da ragazzino sono rimasto vittima di un incidente che mi ha reso invalido. Le conseguenze sono state tali e tante che il mio fisico non tollera carichi di lavoro prolungati. Mi sono cimentato in vari lavori, adattandomi, sacrificandomi in mansioni a volte lontane dai miei studi e dal mio essere. Poi ho scoperto la mia passione e sono diventato un giardiniere, che cura il verde e l’anima.

Questo lavoro mi ha dato la possibilità di rispettare i ritmi del corpo dandomi le soddisfazioni e le emozioni che solo la cura del verde può dare. Ho cercato di regolarizzare e rendere questo impegno un lavoro ma invano. Possiamo aspirare solo a diventare dipendenti disabili e non imprenditori disabili.

Solo le cooperative sociali hanno delle agevolazioni fiscali e previdenziali, e i privati hanno un obbligo ad assumere una quota di personale con handicap e possono godere di importanti sgravi fiscali, ma preferiscono pagare la multa e non assumerli. Le persone con disabilità che cercano di avviare un’attività lavorativa non hanno alcun privilegio fiscale e previdenziale.

Sarei ben felice di pagare la mia parte di tasse se questo mi permettesse di essere autonomo e di realizzarmi. Non avrebbe prezzo. Noi siamo cittadini di serie B con diritti di serie B e obblighi di serie A, è un paradosso fiscale, morale ed economico.

Eppure in Italia si sono mosse le coscienze e si è creato il reddito di cittadinanza per le famiglie in difficoltà, molto giustamente. Anche noi siamo in difficoltà, tripla difficoltà – fisica, mentale e soprattutto economica – e veniamo trattati come persone incapaci, più che invalide.

Eppure basterebbe poco, dando a noi una possibilità che la sorte ci ha tolto, restituendo un minimo di dignità e una possibilità economica che altrimenti sarebbe irraggiungibile date le nostre condizioni.

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