Tutti i sindacati concordano sulle responsabilità di Whirlpool, Invitalia e ministero dello Sviluppo Economico. La Fiom Cgil la definisce “una vicenda paradigmatica di come funzionino le reindustrializzazioni” in Italia. La fine era già scritta, in pochi potevano immaginare che il saccheggio dei fondi destinati al rilancio fosse iniziato pochi giorni dopo la firma sul contratto. La vicenda dell’ex Embraco di Riva di Chieri, in provincia di Torino, torna prepotentemente di attualità dopo i sequestri e le perquisizioni disposti dalla procura nei confronti di 5 indagati – sostanzialmente tutto il management – della società che nel giugno 2018 acquistò il ramo di azienda della Embraco-Whirlpool specializzato nella produzione di compressori per frigoriferi.

“Se quanto ipotizzano i magistrati sarà confermato, quella di Embraco non è un’avventura finita male – spiega Barbara Tibaldi, membro della segreteria generale della Fiom a Ilfattoquotidiano.it – ma nata, con il bollino di Invitalia e del ministro Carlo Calenda, con questi presupposti”. Per la sindacalista ora “è il momento che ognuno si assuma le sue responsabilità, compresa Whirlpool”. Di fronte ai circa 3 milioni che secondo la procura sono stati distratti dai manager per spese personali, auto di lusso e debiti da ripagare, la Fiom chiede quindi una “convocazione urgente” per “chiarire il futuro di oltre 400 lavoratori che lottano e aspettano da oltre due anni”.

L’appello è sostanzialmente unitario. Fim-Cisl, Fiom e Uilm ritengono “non credibile che chi ha presentato Ventures, cioè la Whirlpool, e chi ha dato alla società di nuova costituzione le ‘patenti’ di affidabilità, cioè il ministero dello Sviluppo economico e Invitalia, non fosse a conoscenza della situazione”. E ritengono che “oggi più che mai”, vista l’ipotesi di bancarotta e la richiesta di fallimento, sia “necessario il ruolo del ministero dello Sviluppo economico che, insieme a Regione Piemonte e Città di Torino, deve convocare i responsabili della vicenda, a partire da Whirlpool, e individuare il percorso necessario a una vera soluzione in grado di fare ripartire delle attività industriali e di ridare la dignità del lavoro a 407 famiglie di lavoratori torinesi”.

Nella lunga nota unitaria i sindacati ricordano di aver denunciato in ogni circostanza “l’opacità della gestione” di Ventures e l’impiego dei fondi “per fini che nulla avevano a che vedere con la realizzazione del progetto di reindustrializzazione”, nel quale “non vennero mai impiegati” e specificano che “tali denunce vennero ripetutamente raccolte e pubblicizzate sugli organi di stampa”. “Non altrettanto – fanno notare – fecero i soggetti pubblici e privati intervenuti a sponsorizzare e garantire l’affidabilità dell’iniziativa intrapresa dalla nuova società”.

Ripercorrendo tutte le tappe della vicenda, Fim Fiom e Uilm spiegano che “alla richiesta sindacale di partecipazione pubblica nel capitale come garanzia, l’allora ministro” Carlo Calenda “rispose che non si poteva imporre una partecipazione pubblica a una società privata con una propria autonoma capacità finanziaria”. Fu quindi presentato un piano industriale “che prevedeva l’avvio delle produzioni, visto che dichiaravano di avere addirittura già preso impegni su delle commesse, a gennaio 2019″. Un centinaio di lavoratori – prosegue la nota unitaria – “scelse l’uscita incentivata con 60mila euro, ma circa 415 decisero di dare fiducia al progetto nel luglio 2018″, visto che “addirittura il ministro li aveva rassicurati nel corso dell’assemblea svolta in fabbrica promettendo loro che in caso di non riuscita del progetto, avrebbero avuto un paracadute e che il loro datore di lavoro sarebbe diventato, indicandolo con il dito, la persona che aveva a fianco, cioè l’amministratore delegato di Invitalia”.

Luigi Paone, segretario generale Uilm Torino, e Vito Benevento, segretario provinciale Uilm, affermano: “Abbiamo piena fiducia nel lavoro della magistratura e della guardia di finanza. Il nostro auspicio è che in tempi brevi venga avviato un commissariamento con relativo progetto di reindustrializzazione con l’obiettivo di salvaguardare il futuro dei 400 lavoratori e delle loro famiglie. Anche a seguito dell’istanza di fallimento presentata dalla procura, è sempre più urgente sviluppare la proposta della Regione Piemonte di realizzare un impianto per la produzione di batterie per auto nel sito di Riva di Chieri. Al riguardo abbiamo già chiesto un tavolo urgente all’assessore regionale al Lavoro, Elena Chiorino”.

Articolo Precedente

Coronavirus, l’effetto sui nuovi contratti: “Nel primo trimestre 239mila attivazioni in meno rispetto allo stesso periodo del 2019”

next