Questo è un messaggio per l’inutile commissione bicamerale di inchiesta sulle banche, un messaggio su cosa ho imparato sui crimini finanziari dei top manager delle banche.

Quando ho iniziato a lavorare in banca, nei primi Anni Novanta del passato secolo, i delitti finanziari dei colletti bianchi non ricevevano una particolare attenzione da parte dei magistrati. I magistrati inquirenti si preoccupavano molto degli omicidi, del traffico di droga e del crimine organizzato. Non prendevano molto sul serio i crimini finanziari. Le cose sono cambiate per tutta una serie di ragioni che stiamo raccontando da oltre 10 anni.

Soprattutto negli ultimi anni abbiamo avuto un gran numero di inchieste sui delitti dei colletti bianchi che ci hanno dimostrato che la deterrenza non funziona. Ma per un semplice motivo: tanti imputati, molti condannati, neppure un giorno di carcere. Nessuno di loro può dire: “Caspita, un tizio che fa esattamente il mio stesso lavoro è finito in gattabuia per un bel po’ di tempo”.

Non c’è deterrente più efficace di una pena detentiva. Quasi tutti gli imputati dei crimini finanziari fanno una bella vita e apprezzano molto la libertà. Perseguire questi reati e convincere i giudici a mandare dietro le sbarre gli autori modifica veramente la condotta delle persone.

Li ho visti, sentiti e ne ho analizzato i comportamenti per 23 anni dall’interno e negli ultimi 8 anni da consulente esterno. E mi sono chiesto spesso: perché lo fanno?

In primo luogo perché i delitti dei colletti bianchi non sembrano ispirare i profondi sensi di colpa causati da un reato, come ad esempio la violenza fisica, in cui si arreca a qualcuno un danno grave e tangibile. Alcuni di questi illeciti, come la concessione abusiva del credito, potrebbero essere percepiti come “privi di vittime”, anche se in realtà non è vero.

Il movente è anche l’avidità, naturalmente, ma non c’è solo quella.

Ciò che sottovaluta il grande pubblico è l’ego. I top manager delle banche sono persone di successo e temono lo spettro del fallimento. Negli ultimi anni l’opinione pubblica ha girato loro le spalle, ma loro vogliono essere visti ancora come dei vincenti.

Nei crimini finanziari c’è spesso una motivazione economica, ma in un business carico di valenze emotive e pieno di tentazioni bisogna tener conto anche della natura umana e del bisogno di status e di successo. Come prevenire?

Una componente standard del processo di controllo è fare raccomandazioni su come prevenire nuovi comportamenti impropri attraverso i programmi di compliance. Fuffa! Ciò che conta veramente sono la cultura e il tono che il leader fissa per l’organizzazione – che è spesso un modo più efficace per accrescere le probabilità che quegli episodi non si ripetano più.

Una prova? All’indomani di tutti gli scandali finanziari degli ultimi anni, i leader di quelle banche hanno sempre affermato che erano all’oscuro di tutto.

A volte è proprio così. Ma in questi casi bisogna chiedersi se il leader ha costruito un sistema di comunicazione progettato per fare arrivare le cattive notizie fino al suo livello, o se invece il sistema mira a isolare il gruppo dirigente.

Ad esempio alcune banche (soprattutto piccole) hanno creato linee di comunicazioni, talvolta anche artigianali, riservate ai whistle-blower, ma solo alcune di esse raggiungono direttamente il comitato audit o l’ufficio del Ceo. In quei sistemi, nei quali i massimi dirigenti sollecitano attivamente lamentele e denunce, la cultura di rispetto delle regole è molto più forte.

Per contro, alcune hotline (soprattutto nelle grandi banche) sembrano create apposta per offrire ai leader una negabilità plausibile: abbiamo un sistema su cui inoltrare le denunce, e ne sono arrivate poche. I top manager devono chiedersi “Come mai?”, “Forse i dipendenti esitano a denunciare per timore di rappresaglie?”.

Il più grosso errore che commettono le banche nel tentativo di prevenire illeciti o comportamenti impropri è cercare di promuovere la compliance investendo più risorse in questo sforzo. Fanno finta di non capire che i problemi insorgono molto spesso lontano dal quartier generale.

Ma la prevenzione si riduce in buona sostanza alla cultura. Se avete assunto la direzione di una banca, non stare rinchiusi nelle vostre torri cablate. Fatevi conoscere dai dipendenti e fate conoscere loro i vostri valori. Fate sapere quanto ci tenete a fare la cosa giusta. Mettete bene in chiaro che se vedono qualcuno fare qualcosa che non va, devono denunciare l’episodio – e che così facendo daranno una mano a tutti i membri dell’organizzazione. Quando qualcuno sgarra, danneggia l’intera azienda e i dipendenti non possono permetterlo. È il messaggio che devono inviare i leader, ed è anche il modo in cui devono agire.

L’indicatore primario di una cultura etica è la tolleranza zero verso i comportamenti impropri. Molte aziende dichiarano di avere una politica di questo tipo, ma quando i dipendenti più produttivi o i top manager infrangono le regole, i leader gliela fanno passare liscia, per convenienza o per un senso malinteso di lealtà. È la fine di tutto. Non ci si può affidare solo ai programmi di compliance e agli audit; bisogna essere disposti a punire chi viola le regole partendo dall’alto. Per costruire una cultura etica, non potete fare altro che applicare concretamente l’impegno alla tolleranza zero. Soprattutto nei vostri confronti.

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