Essere d’accordo con un leghista era per me qualcosa che poteva succedere solo in questi tempi anomali. Dice il governatore del Veneto Luca Zaia in merito alla mancata riapertura delle frontiere greche all’Italia: “La Grecia nei nostri confronti ha avuto un comportamento assolutamente riprovevole. Mi fa incazzare che questo atteggiamento venga da un Paese che sta in Europa”. Poi la stilettata finale: “Non ci risulta che la sanità greca sia come quella veneta o quella italiana. Da parte del Veneto non c’è preclusione per nessuno”.

Inutile girarci attorno: Zaia ha ragione. La decisione di Atene di riaprire dal 15 giugno i suoi aeroporti ai voli internazionali provenienti da 29 paesi, ma tenere fuori Italia, Svezia e Spagna, ha il sapore amaro della scelta che prescinde dalle evidenze epidemiologiche e sconfina quasi nell’affronto personale, come se un vecchio amico, qualcuno di cui ti fidavi ciecamente, ti chiudesse la porta in faccia nel momento del bisogno.

Se è irritante che un paese come l’Olanda faccia il maestrino nei confronti nell’Italia – usando il volto del suo premier con la faccia da secchione antipatico, un tizio che la mattina fa il “frugale” e la sera lavora per rendere il sistema fiscale olandese uno dei più convenienti d’Europa – figuriamoci quanto indisponente possa essere questa decisione della Grecia, il fanalino di coda dell’Unione, un paese tra l’altro a noi storicamente vicino.

Quello che più stupisce in questo provvedimento è inoltre l’assenza di mezze misure per mitigarne gli effetti, come se noi italiani fossimo degli svedesi qualunque, come se il nostro paese fosse un lazzaretto. Più intelligente sarebbe stato seguire la strada della Croazia che ci permetterà, per il momento, l’ingresso solo per motivi di lavoro e turistici, con obbligo di presentazione di una prenotazione in albergo. Oltre che saggia, si tratta di una scelta furba: la Croazia sa bene quanto siano importanti i viaggiatori italiani per il sostentamento della sua economia turistica.

Poche ore dopo la prima comunicazione, sicuramente per le rimostranze ricevute, ecco però che la Grecia decide di fare un mezzo passo indietro stabilendo che per il periodo dal 15 al 30 giugno è consentito l’accesso agli italiani che atterrano ad Atene e Salonicco, previo test per chi proviene dalle regioni a più alto tasso di contagio, leggi Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto. Se il test risulta positivo, il passeggero è obbligato a una clausura di due settimane; se negativo, deve comunque mettersi in quarantena per sette giorni.

Una pezza che era peggio del buco: che senso ha viaggiare in un paese straniero se devi auto-recluderti? È comprensibile che la Grecia tema nuovi contagi portati dall’esterno, non potendo contare su un sistema sanitario forte come quello italiano, ma forse l’Ambasciata di Atene non si rende conto – meglio, fa finta di non rendersi conto – che discriminare in questo modo i turisti provenienti da quattro tra le più ricche regioni italiane è una scelta poco intelligente e ancor meno lungimirante.

Viene quasi da prendere in considerazione – altro miracolo per me – le parole della leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, secondo cui “gli accordi bilaterali con i quali la Germania e altri Stati europei vorrebbero mandare i loro turisti in Grecia o in Croazia, tagliando fuori l’Italia, sono vergognosi e rischiano di essere il colpo di grazia per il turismo italiano”.

È così? Non è così? Al momento resta solo – in attesa che il prossimo primo luglio Atene riveda la lista degli ingressi consentiti – amarezza, delusione e rabbia per quello che sembra un tradimento inaspettato da chi credevi tuo compagno di ventura.

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