Un volto. Un nome. E un mistero. Che cosa spinge un ex manager della Montedison a salire su un Frecciarossa alla stazione centrale di Milano, raggiungere Venezia, attendere la notte e affiggere vicino alle chiese volantini diffamatori nei confronti del Patriarca e del clero lagunare, per poi tornare a casa al mattino successivo, sempre a bordo di un treno ad alta velocità? E che cosa spinge un altro uomo ad accompagnarlo, almeno in una occasione, con il rischio di essere anch’egli accusato di aver partecipato a una campagna denigratoria ai danni della Chiesa di San Marco, paragonata a un’accolita di preti pedofili e corrotti, che avrebbero agito mentre il Patriarca in persona si macchiava di omessa denuncia? Si squarcia il velo dell’inchiesta dei carabinieri e della magistratura veneziana sui fogli firmati da “Fra.Tino”, fantomatico fustigatore dei costumi clericali nella città che lo scorso secolo portò al Soglio Vaticano addirittura tre Papi, Pio X, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo I. E si scopre l’identità dei due indagati a cui il pubblico ministero Massimo Michelozzi ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini.

Enrico Di Giorgi, 75 anni, milanese, ma con casa a Venezia, è un manager della Montedison, che ha lavorato al Petrolchimico di Porto Marghera. Il suo nome è entrato nei primi anni Novanta nelle cronache di Tangentopoli. La Procura scoprì un giro di soldi, legato ai prepensionamenti dei dipendenti, di cui, secondo l’accusa, avrebbe beneficiato la corrente socialista di Gianni De Michelis. Di Giorgi, ex capufficio delle relazioni pubbliche e sindacali di Montedison, spiegò invece che i soldi non erano serviti a finanziare le campagne elettorali dei socialisti veneti, ma per costituire un fondo antiterrorismo di autodifesa aziendale, una rete di informatori sui movimenti di appartenenti alle Brigate Rosse o fiancheggiatori del partito rivoluzionario armato.

Di Giorgi è grande amico di don Massimiliano D’Antiga, il parroco di San Zulian e San Salvador che il patriarca Moraglia nel dicembre 2018 aveva trasferito a San Marco, ricevendone un rifiuto che ha portato il prete (appoggiato da molti parrocchiani) sotto processo canonico. Ed è proprio in quel collegamento che andrebbero cercate le ragioni delle accuse (infondate) formulate contro i sacerdoti per comportamenti personali riprovevoli. In una sola occasione, una telecamera installata nei pressi del teatro La Fenice, aveva immortalato, assieme a Di Giorgi, anche Gianluca Buoninconti, 54 anni, anch’egli di Milano, il secondo indagato, che rischia il rinvio a giudizio, a meno che non riesca a provare la propria estraneità a quei volantini.

Di sicuro il personaggio-chiave è Di Giorgi, che arrivava a Venezia in treno, dormiva nella sua casa in centro storico, e il giorno successivo ritornava a Milano. In un giorno di settembre 2019 i carabinieri perquisirono contemporaneamente le due abitazioni del manager, a Venezia e Milano, trovando numerosi spunti investigativi: alcuni volantini con lo scotch biadesivo e vestiti simili a quelli indossati dall’attacchino notturno. Ma anche una stampante compatibile con quella che aveva prodotto i fogli incriminati e appunti riconducibili ai contenuti degli scritti diffamatori. I carabinieri si erano mossi a colpo sicuro, dopo che il Ris aveva scoperto alcune impronte digitali sui fogli affissi vicino alle chiese. Don D’Antiga era stato trovato dai carabinieri a casa del Di Giorgi, durante al perquisizione a Venezia. E l’ex manager in una occasione aveva accompagnato il parroco in Curia, nel periodo delle contestazioni da parte di alcuni fedeli della decisione del Patriarca di trasferire don D’Antiga. Quest’ultimo non è indagato, ma il sospetto della Procura è che possa aver ispirato i volantini del “corvo” firmati da Fra.Tino e che sono apparsi a Venezia fra il 31 gennaio e il 6 agosto 2019.

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