“Abbiamo accolto con sorpresa, delusione e, soprattutto, grande preoccupazione, la scelta del Governo, nel recente Decreto Rilancio, di limitarsi al rifinanziamento del fondo per l’acquisto di autoveicoli a basse emissioni. Si tratta di un intervento poco significativo per un’effettiva ripartenza del settore automotive nel nostro Paese”. È questa la reazione secca delle tre associazioni più rappresentative del settore auto (Anfia, Federauto, Unrae) alle misure contenute del Decreto Rilancio per sostenere la ripresa del comparto automotive.

Il decreto in questione prevede che l’Ecobonus per le vetture a bassissime emissioni sia rifinanziato con ulteriori cento milioni da qui a fine anno, mentre ai 70 milioni previsti per il 2021 ne sono stati aggiunti altri 200. Misure evidentemente ritenute insufficienti dalle associazioni di categoria, che ricordano come produttività e mercato siano in caduta libera dopo l’emergenza Covid-19: “I livelli produttivi dell’intera filiera in Italia – già in calo da 20 mesi a fine febbraio 2020 – sono crollati del 21,6% nel primo trimestre dell’anno, periodo in cui gli autoveicoli prodotti risultano in diminuzione del 24% rispetto a gennaio-marzo 2019. Il lockdown ha provocato quasi un azzeramento del mercato auto italiano (-85,4% a marzo e -97,5% ad aprile)”.

Allargando l’analisi al primo quadrimestre, risulta chiaro come con un -51% (ovvero 361 mila immatricolazioni perse) il mercato risulti dimezzato. Un andamento che potrebbe provocare grossi danni alle tasche dello Stato: “In assenza di interventi mirati, una chiusura del mercato auto 2020 con 500.000/600.000 unità in meno rispetto all’anno precedente determinerà un mancato gettito IVA di circa 2,5 miliardi di Euro”, sottolineano Anfia, Federauto e Unrae in una nota congiunta. Senza contare il rallentamento nel processo di rinnovo del parco auto italiano, per il 32,5% è ancora costituito da vetture ante-Euro 4 e per il 57% da automobili con oltre 10 anni di anzianità.

“Le difficoltà nello smaltimento dei veicoli in stock presso case automobilistiche e concessionari, con il mercato in stallo, impedirà alla filiera industriale di ripartire a ritmi sostenibili, un danno che per molte imprese, già fiaccate da due mesi di azzeramento del fatturato, si ripercuoterà sull’occupazione”, tuonano Anfia, Federauto, Unrae: “Risulta incomprensibile come in Italia non si faccia nulla per salvaguardare la strategicità e la competitività di un comparto come l’automotive, che esporta oltre il 50% dei suoi prodotti”. Da qui la richiesta di potenziare gli ecoincentivi e allargare il ventaglio dei modelli che potrebbero beneficiarne – tramite la creazione di una terza fascia di veicoli, quelli con emissioni di CO2 comprese tra 61 e 95 g/km – e rivedere la fiscalità sulle autovetture per un adeguamento a livello europeo.

Considerazioni a cui si aggiungono quelle del Centro Studi Promotor: “In tutta Europa sono allo studio incentivi che prevedano un consistente contributo a coloro che acquisteranno una vettura Euro 6 con qualsiasi tipo di motorizzazione e rottameranno una vettura di almeno 10 anni di anzianità”. Secondo il CSP, diretto da Gian Primo Quagliano, “la formula più opportuna da seguire è quella dei primi incentivi alla rottamazione del 1997 che prevedevano un contributo per chi acquistava una vettura nuova con contestuale rottamazione di un’auto con oltre 10 anni di anzianità, contributo vincolato alla concessione di uno sconto di pari entità da parte del venditore della vettura nuova”.

Incentivi che nel 1997 determinarono un incremento delle immatricolazioni del 38,8% e che “non costarono nulla all’Erario in quanto la spesa dell’erogazione degli incentivi venne più che ampiamente coperta dal maggior gettito Iva derivante dalle vetture immatricolate in più per effetto degli incentivi” e che “determinarono un incremento del Pil di 0,4 punti percentuali”.

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