Stadio Artemio Franchi, 14 maggio 2000. A Firenze mancano otto minuti al termine di Fiorentina-Venezia, ultima giornata di campionato. Mentre a Perugia la pioggia sta portando via uno scudetto che la Torino bianconera già sentiva cucito addosso, un uomo corre con le braccia allargate. Entrando all’interno della porta sotto la curva Fiesole, va a sbattere volontariamente contro la rete, prima di sdraiarsi per terra in lacrime. Gabriel Omar Batistuta ha appena segnato la sua ultima rete con la maglia della Fiorentina. Quella che gli consente di diventare il miglior marcatore in Serie A con la maglia della Viola a discapito di Kurt Hamrin, che deteneva il record da oltre quarant’anni. Al fischio d’inizio della partita la classifica recitava 151 a 149 per lo svedese. Novanta minuti dopo Batistuta è davanti: 152 a 151. È l’ultimo atto di una storia d’amore iniziata nove anni prima.

La prima volta che vede l’Italia è il 1989. Ha 20 anni e la scopre a Viareggio durante il torneo giovanile. Il Newell’s Old Boys lo manda in prestito al Deportivo Italiano, piccola squadra fondata da emigranti italiani in Argentina. In quattro partite Batistuta segna tre reti e vince la classifica cannonieri. Qualcuno a Firenze segna il suo nome su un taccuino. Durante il soggiorno in Italia viene portato per la prima volta in uno stadio italiano per vedere una partita di A. È l’Artemio Franchi.

Arriva a Firenze nell’estate del 1991, dopo aver trionfato in Copa America mettendo a segno sei reti in sei partite. I tifosi viola aspettano un nuovo idolo dopo la partenza di Roberto Baggio. L’abitazione in cui va a vivere è la stessa che ha ospitato il Divin Codino. Per Batistuta è una stagione difficile. Teme di fallire e anche l’ambientamento nello spogliatoio non è facile.

Le difficoltà, però, svaniscono il 26 gennaio 1992. Al Franchi arriva la Juventus. I tifosi viola devono attendere appena sette minuti per esultare. Batistuta ha segnato. In quel momento l’argentino viene ribattezzato Batigol, poi diventato anche Il Re Leone. La storia d’amore tra lui e Firenze è appena iniziata. Termina il campionato con tredici reti all’attivo, dietro soltanto a giocatori come Van Basten, Baggio, Careca e Baiano.

L’anno successivo Batistuta si migliora. Raggiunge quota sedici reti, ma tutti gli sforzi vengono vanificati dalla retrocessione della squadra in B dopo 55 anni. Il 6-2 al Foggia nell’ultima giornata è buona solo per gli almanacchi. A rimanere nella memoria sono le sue lacrime di disperazione al fischio finale. Non può e non vuole andarsene. Batistuta vuole riportare il prima possibile la Fiorentina in massima serie. Ci riesce al primo tentativo, segnando sedici reti e vincendo il campionato. Il tutto senza perdere il treno per il mondiale di Usa ‘94.

Undici gare consecutive a segno. È il record – oggi condiviso con Quagliarella e Cristiano Ronaldo, anche se i due hanno avuto una giornata di riposo rispetto alle 11 consecutive disputate dal campione argentino – che Batistuta soffia all’ala Ezio Pasciuti che lo aveva stabilito quando ancora la televisione era in bianco e nero. È la stagione 1994/1995. Quella del ritorno in A e della consacrazione personale. Ad ogni rete corre verso la bandierina del calcio d’angolo. Lo farà per ventisei volte, vincendo la classifica dei cannonieri. L’adorazione dei tifosi ormai è totale. Sotto la Curva Fiesole viene posta anche una statua dorata in cartongesso che lo raffigura nella sua caratteristica esultanza. Sulla base si legge: “Guerriero mai domo. Duro nella lotta, leale nell’animo”. Ma è in questo momento che comincia il dilemma nella testa di Batistuta. La consapevolezza di essere uno dei migliori attaccanti al mondo genera in lui una lotta interiore tra il suo amore per la Fiorentina e la sua voglia di vincere.

Nel 1995/96 la squadra arriva terza in campionato. Batistuta segna 19 gol e può finalmente alzare al cielo il suo primo trofeo. È la Coppa Italia, la chiave d’accesso per la Coppa delle Coppe. Prima di provare la cavalcata europea l’argentino si toglie lo sfizio di regalare al popolo viola anche la Supercoppa Italiana. Contro il Milan campione d’Italia è sua la doppietta decisiva: per la prima volta, a conquistare il trofeo è la squadra che l’anno precedente ha alzato la Coppa Italia e non lo Scudetto.

Se il campionato 1996/97 si conclude con un anonimo nono posto, l’avventura in Europa termina in semifinale contro il Barcellona di Ronaldo. Alla gioia per la rete che zittisce il Camp Nou segue l’amarezza per la discutibile ammonizione che impedisce a Batistuta di giocare la decisiva sfida di ritorno al Franchi. Senza il carisma del suo giocatore migliore la Fiorentina cede. Per l’argentino è l’ennesima grande delusione.

L’estate del 1997 la prospettiva di andare via diventa concreta. Dopo mesi di riflessioni, però, decide di rimanere. La squadra viene affidata ad Alberto Malesani. La Fiorentina gioca un bel calcio offensivo e al termine del campionato la squadra chiude la quinto posto, qualificandosi per la Coppa Uefa. Per l’argentino le reti sono 21. La società però non conferma il tecnico. Batistuta è indispettito e stanco di vincere le battaglie ma di perdere la guerra. La decisione di lasciare la Fiorentina pare davvero a un passo. Comincia così un braccio di ferro con Vittorio Cecchi Gori che tiene in ansia tutta la città, tanto che il patron viola farà esporre sulla tribuna autorità uno striscione con scritto “Batustuta è incedibile”, firmato “il Presidente”. È il nuovo allenatore, Giovanni Trapattoni, a convincere Batistuta a rimanere a Firenze. La promessa è una Fiorentina da scudetto.

I Viola cominciano a girare a meraviglia. Al termine del girone d’andata sono campioni d’inverno e Batistuta primeggia nella classifica dei cannonieri con 17 reti in 17 giornate e una nuova esultanza: la mitragliatrice. A trent’anni dall’ultima volta, la prospettiva di riportare il tricolore sulle rive dell’Arno pare davvero possibile. Ma all’inizio del girone di ritorno l’incantesimo si spezza. Mancano pochi minuti al termine della sfida contro il Milan. Nel rincorrere un lancio lungo, Batistuta crolla a terra. Il Franchi assiste in silenzio alla sua uscita dal campo in barella. In conferenza stampa l’argentino si presenta in stampelle. È il segnale che il sogno è sfumato. Senza il suo capitano e con il partner d’attacco, Edmundo, partito per il Carnevale di Rio la Fiorentina sprofonda. Finisce terza a meno quattordici dal Milan.

L’ultima stagione alla Fiorentina è la prima di Batistuta in Champions League, a quasi trent’anni. Dopo un brutto inizio, con due pari e una sconfitta, la Fiorentina riesce a ribaltare i pronostici vincendo a Wembley contro l’Arsenal e pareggiando con il Barcellona. Nel secondo turno la Fiorentina comincia bene, battendo Manchester United e Valencia. Le sconfitte nelle restanti quattro sfide però ne decretano l’eliminazione. In campionato la Fiorentina si piazza al settimo posto. Questa volta Batistuta prende una decisione definitiva. Lascia Firenze. La voglia di vincere ha prevalso.

Il 26 novembre 2000 Batistuta si dirige verso il centro del campo con indosso la casacca della Roma. All’Olimpico arriva la “sua” Fiorentina. Prima della partita corre a salutare i tifosi della Fiorentina. È passato troppo poco tempo per dimenticare. A sette minuti dalla fine una palla danza innocua fuori dall’area della Viola. Batistuta si coordina e con un destro al volo batte Francesco Toldo. L’argentino scoppia in lacrime mentre i compagni di squadra lo circondano con un lungo abbraccio. È la rete della vittoria. Quella che non avrebbe mai voluto segnare.

Twitter: @giacomocorsetti

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