Il mercato wearable ha subito una frenata a causa dell’emergenza Coronavirus, come documentato dai dati di IDC che, nel suo ultimo report, prevede per il 2020 una crescita per i dispositivi indossabili pari al 9,4% rispetto allo scorso anno, cifra che appare in crescita ma non se confrontata con quella su base annua registrata lo scorso anno, pari all’89%. Una debacle dunque, apparentemente. Eppure tanti fattori suggeriscono come in realtà proprio la pandemia in corso possa, in ottica futura, regalare a smartwatch, smartband e fitness tracker un ruolo quanto mai centrale nella nostra vita.

Anzitutto infatti il rallentamento registrato da IDC, seppur significativo per numeri, dipende solo in minima parte dalla contrazione della domanda da parte dei consumatori. La vera ragione, infatti, va ricercata nella difficoltà di produzione da parte delle aziende e, contestualmente, nel mancato incrocio con la distribuzione, vista la chiusura dei negozi fisici di elettronica e il rallentamento delle vendite online. IDC si aspetta dunque una contrazione del 13% nelle vendite di smartwatch e braccialetti fitness nel primo trimestre 2020, con una contrazione del 7,1% per il secondo trimestre.

Eppure, l’industria dell’hi-tech è in realtà pronta a investire pesantemente nel settore wearable. Da questo punto di vista l’andamento dei prodotti indossabili Apple è paradigmatico: il suo Watch infatti sta macinando numeri da record nonostante la pandemia e il lockdown, con 7,6 milioni di unità del suo orologio smart consegnate in tutto il mondo in questa prima parte di 2020, con un aumento del 23% rispetto ai 6,2 milioni del medesimo periodo del 2019.

In questo scenario complesso e in divenire si inseriscono le nuove esigenze dei consumatori, determinate o quantomeno amplificate proprio dall’attuale pandemia. L’attenzione nei confronti del tema salute ad esempio non è mai stata così alta come negli ultimi mesi, mentre l’attività sportiva è tornata improvvisamente alla ribalta e questo ha finito con lo sdoganare tutte quelle funzionalità che smartwatch, smartband e fitness tracker integrano ormai da anni, anche nei confronti degli utenti meno smaliziati da un punto di vista tecnologico: dal conteggio dei passi a quello delle calorie, dal monitoraggio del battito cardiaco a quello del sonno, fino ad arrivare a funzionalità avanzate come l’ECG, la misurazione della pressione sanguigna o della tanto attuale saturazione dell’ossigeno.

Le previsioni di mercato dicono che questa fame d’informazione attorno alla propria salute non si esaurirà con la fine dell’emergenza Coronavirus. Anche perché alcune abitudini che abbiamo dovuto modificare in questi mesi, non è detto che possano necessariamente tornare come prima dopo che ci saremo lasciati alle spalle tutto questo. L’esempio lampante è rappresentato dalle palestre e dai centri sportivi, che stanno inevitabilmente affrontando una dura crisi economica e che potrebbero comunque spopolarsi alla riapertura, mentre l’attività fisica si sta spostando sulle app.

Tutto questo senza dimenticare la questione smart working, sui cui la società sarà inevitabilmente chiamata a ragionare seriamente nei prossimi anni. E poi c’è il concetto stesso di dispositivo indossabile a essere sempre più appetibile a livello strategico e commerciale. Del resto, stiamo parlando di piccoli concentrati di tecnologia, pieni dei sensori più disparati, che di fatto indossiamo ogni giorno per un lasso di tempo molto lungo. E lo facciamo in maniera inconsapevolmente attiva, perché i wearable raccolgono continuamente dati sulle nostre abitudini e sulla nostra salute che, oggi, rappresentano potenzialmente una miniera d’oro per i settori che ruotano attorno all’healthcare. Insomma, dopo anni in cui il preventivato salto di qualità del settore wearable in termini commerciali è stato puntualmente disatteso, la pandemia in corso sembra paradossalmente portare con sé le condizioni per la definitiva accelerata di questi dispositivi.

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