PADOVA – “Tutti noi medici specializzandi dobbiamo acquistare le tute da lavoro e dobbiamo portarle a casa a lavare, anche se siamo impegnati in un reparto Covid… Con tutto quello che significa in termini di sicurezza personale e rischi di diffusione…”. Il dottor Andrea Frascati è il portavoce di Medici in Formazione Specialistica di Padova, l’associazione che raccoglie i laureati che affrontano il percorso di specializzazione della durata di 4-5 anni e, allo stesso tempo, sono impegnati quotidianamente nelle corsie. Dopo un giorno di sciopero (ma sono state garantite le urgenze e la cura dei pazienti da Coronavirus) i 1.600 specializzandi hanno fatto rientrare la protesta, perché hanno ottenuto un incontro con i vertici sanitari e universitari, cominciando a discutere le criticità della loro attività. Hanno infatti ottenuto “l’impegno a fornire pubblicamente i dati inerenti agli specializzandi contagiati in contesto lavorativo e non in ambito extra-ospedaliero”, ma anche “l’impegno ad affrontare punto per punto le criticità emerse nelle varie scuole di specializzazione nelle sedi istituzionali preposte”.

Insomma, “un punto di partenza”. “Ora c’è l’impegno a far continuare il confronto, al di là delle polemiche suscitate dalle frasi pronunciate dal direttore sanitario. Ma nessuno ci può accusare di aver favorito il contagio in ospedale” continua il dottor Frascati. Si riferisce alle dichiarazioni del dottor Daniele Donato, che in teleconferenza li aveva accusati di costituire un problema di sicurezza sanitaria, per una eccessiva leggerezza nei momenti di socializzazione extra attività. Il direttore sanitario, aveva poi affermato di essere stato frainteso e comunque aveva ribadito che solo uno dei 36 specializzandi si era infettato a causa del suo lavoro.

La verità degli specializzandi è un po’ diversa e disegna uno scenario preoccupante. “Come ha poi confermato l’unità operativa di Medicina Preventiva, tra di noi ci sono stati 36 casi di positività. Per 16 di loro c’è la certezza che il contagio sia avvenuto in ospedale e per almeno quattro di loro per contatto diretto con pazienti Covid. La direzione sanitaria si è impegnata a fornirci un quadro dettagliato, caso per caso”. La diatriba non riguarda solo questioni di principio, ma anche concrete. Infatti gli specializzandi sono stati rassicurati che per tutti i contagiati l’azienda ha presentato all’Inail denuncia di infortunio sul lavoro.

Lo scenario delle criticità è però più ampio. “Al fatto di comperarci le divise, ovvero le tutine che indossiamo al lavoro, siamo ormai abituati. Però ce le dobbiamo portare a casa e lavarcele anche con il coronavirus”. L’elenco continua. “A parte la mancanza di armadietti personali, non abbiamo nemmeno gli spogliatoi dove cambiarci quando andiamo in ospedale. Qualcuno è costretto a farlo in corridoio, magari davanti ai pazienti o ai tecnici di laboratorio”.

In questi giorni gli specializzandi hanno deciso di raccogliere le loro proteste. “L’80 per cento ha segnalato il problema della biancheria portata a casa. Alcuni casi eclatanti riguardano l’impossibilità di consumare il pranzo all’interno dell’ospedale, il che costringe ad uscire in strada o nel parcheggio per sedersi su una panchina o sul marciapiede”. Non essendo dipendenti ospedalieri, ma dell’università, con borse di specializzazione, non godono dell’automatismo di fruire della mensa dell’ospedale. “Potremo anche accedere, a un costo di 4-5 volte superiore, ma nessuno lo fa perché dobbiamo recarci in centro a Padova, in un ufficio che distribuisce i buoni a pagamento, ma ha orari incompatibili con la presenza in ospedale”. Forse basterebbe un po’ di buona organizzazione.

“Non si creda che le nostre siano rivendicazioni sindacali. A uno specializzando vengono richieste anche 25 ore consecutive di guardia o di reperibilità. Ci sono turni fino a 36 ore, con il riposo notturno non garantito”. Il che comporta gravi responsabilità anche nei confronti dei pazienti. “Uno dei problemi più sentiti – conclude il dottor Frascati – è il rischio medico legale. Uno specializzando non è uno specialista, ma anche se è al primo anno rimane da solo in ospedale è viene chiamato dal Pronto Soccorso per consulenze specialistiche urgenti. Si possono capire i risvolti umani, professionali e medico-legali che ciò comporta, soprattutto quando è diffusissima la copertura da parte nostra di interi reparti e servizi”.

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