“Io Coltivo” cannabis perché membro delle commissioni Antimafia, Attività Produttive, Sanità e Carcere. Il Consigliere regionale Michele Usuelli si unisce alla disobbedienza civile per la legalizzazione.

Parlare di legalizzazione della cannabis non è una questione velleitaria, né un diversivo alla noia della quarantena: dovrebbe piuttosto essere uno dei primi provvedimenti da adottare per fronteggiare in maniera strutturale le ripercussioni e le conseguenze che la crisi economica produrrà, e che in parte sta già producendo, nel nostro Paese.

Aggiungo, una classe politica che si appresta ad affrontare un tracollo del “sistema paese” di tale portata dovrebbe porre la regolamentazione delle droghe leggere al centro del dibattito politico come atto di serietà. Soprattutto dopo il deposito, il 16 aprile 2020, delle motivazioni della Sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, depenalizzando de facto la coltivazione per uso personale, chiamano a gran voce una revisione del Testo Unico sugli Stupefacenti e l’abbandono della sua ratio punitiva.

Per contribuire a convincere il Parlamento dell’urgenza di questa discussione, perciò, ho deciso di aderire alla disobbedienza civile di massa “Io Coltivo”, lanciata il 20 aprile scorso da Meglio Legale, Radicali Italiani, Associazione Luca Coscioni, Dolcevita e oltre venti altre realtà che da anni lottano contro il proibizionismo sulla cannabis e derivati. Da oggi coltivo anche io e lo faccio come cittadino, ma soprattutto come Consigliere regionale della Lombardia e membro delle commissioni che compongono il Consiglio.

Nello specifico, “Io Coltivo” in qualità di membro della Commissione Antimafia, perché il mercato illegale degli stupefacenti in Italia vale 30 miliardi di euro all’anno: cannabis e hashish contribuiscono per poco meno della metà. Chiudere immediatamente uno dei grandi “rubinetti di liquidità” della criminalità organizzata attraverso l’autocoltivazione rappresenta un’azione di responsabilità nei confronti dello Stato.

Soprattutto ora che l’epidemia ha aperto alla mafia nuovi canali di investimento e strategie per acquisire consenso sociale, è necessario che le istituzioni italiane decidano di gestire e regolamentare i “mercati neri” che annualmente valgono un sommerso di 214 miliardi (Istat, nda). I proventi del narcotraffico, in particolare, consentono ai clan di essere già oggi tra i maggiori azionisti dell’economia lecita: 30 miliardi, cioè il ricavato sugli stupefacenti, è il valore dell’intera produzione agricola nazionale e della metà della filiera del settore automobilistico italiano.

Questo significa che il potere di investimento delle mafie nel mercato legale è immenso e, tra le altre cose, mette a rischio la concorrenza e gli assetti delle democrazie liberali. Per questo “Io Coltivo” anche in qualità di componente della Commissione Attività Produttive: legalizzando mercati illegali si creano entrate fiscali e nuovi posti di lavoro perché si stimolano settori economici inesplorati, dimenticati o in crisi.

Quanto ne gioverebbe la nostra economia? Basti pensare che al gettito fiscale generato delle imposte sulle vendite, calcolati tra i 5 e i 7 miliardi delle costanti ricerche dell’Università di Messina e dal professor Marco Rossi della Sapienza di Roma, si aggiungono le entrate derivanti dalle imposte sul reddito degli addetti al settore (circa 1,5 miliardi annui il gettito Irpef per l’impiego di circa 350.000 lavoratori per l’intera filiera di produzione). All’indotto attivo si aggiunge poi il risparmio generato sul fronte della giustizia, motivo per cui “Io Coltivo” anche perché membro della Commissione Carceri lombarda.

L’ultima relazione sulle tossicodipendenze al parlamento, e prima di essa il X Libro Bianco sulle Droghe, evidenzia che un terzo dei detenuti è in carcere per aver violato il Testo Unico sugli Stupefacenti: la legalizzazione della cannabis, e il conseguente abbattimento della filiera del commercio illegale, porterebbe a risparmiare 541 milioni di euro in spese di magistratura e carcerarie e 228 milioni in ordine pubblico e alla sicurezza, senza considerare che verrebbe risolto il cronico sovraffollamento carcerario per cui l’Italia è pluricondannata innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Liberare i tribunali e fermare la persecuzione sanzionatoria di condotte correlate alla cannabis avrebbe benefici indiretti anche sulla ricerca scientifica legata ai suoi comprovati effetti terapeutici. Migliaia di malati faticano a reperire cannabinoidi nelle farmacie e medici che la prescrivono perché, nonostante sia una terapia riconosciuta in Italia da 13 anni, è stata fino ad oggi considerata un fitofarmaco secondario anziché un valido miorilassante, antidepressivo o antidolorifico. “Io Coltivo”, quindi, anche perché compongo la Commissione Sanità e sono responsabile della salute e del diritto alla cura dei cittadini, non del “pregiudizio di Stato” nei confronti di una pianta.

Forse più che una disobbedienza questa è un’azione di affermazione civile, aperta alla partecipazione e al sostegno di altre associazioni e singoli cittadini che credono la legge italiana sulle droghe vada cambiata. A maggior ragione, allora, “è appena giusto che la fortuna ci aiuti”.

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