José Ramón Alexanco indossa una camicia scura a una giacca azzurra. È seduto dietro a un tavolo a forma di ferro di cavallo e non vede l’ora di iniziare a parlare. Il posto alla sua sinistra è occupato da Calderé, quello alla sua destra da Victor Munoz. Ci sono tutti, i giocatori del Barcellona. Tutti tranne Lineker, impegnato in Ungheria con la Nazionale, Lopez Lopez, ancora in convalescenza per un’operazione allo stomaco, e Bernd Schuster, che qualche minuto prima aveva annunciato il suo forfait con una telefonata. Quando Alexanco inizia a parlare, in quel pomeriggio del 28 aprile 1988, le decine di giornalisti seduti in una stanza dell’hotel Hesperia immaginano di ascoltare parole di scuse.

Perché la stagione azulgrana non è stata esattamente di quelle trionfali. A quattro giornate dalla fine della Liga il Barcellona è nono in classifica, con un ritardo di 23 punti dal Real Madrid campione di Spagna. Non che in Coppa Uefa le cose fossero andate poi meglio. Perché ai quarti di finale aveva pescato il Bayer Leverkusen. E il Barcellona era uscito dalla coppa senza riuscire a segnare neanche un gol in due partite. E invece, quando Alexanco inizia a parlare, dalla sua bocca escono solo parole taglienti. E tutte hanno come bersaglio Josep Lluís Núñez. Un anno prima il presidente dei blaugrana aveva studiato un sistema ingegnoso per fare in modo che i giocatori guadagnassero di più e costassero di meno al club. In pratica il contratto veniva diviso in due parti: il 60% andava sotto la voce di “contrato federativo” e veniva tassato al 53%, mentre il restante 40% rappresentava i “derechos de imagen”, i diritti di immagine, e veniva tassato al 35%.

Tutto è filato liscio per un poco. Almeno fino a quando l’Agencia Tributaria non ha deciso vederci chiaro. Gli ispettori hanno esaminato le carte, poi hanno emesso la sentenza: quei contratti non potevano esser accettati, bisognava pagare il 53% di tasse. Sull’intero importo. I giocatori restano spiazzati. L’idea di dover tirare fuori la differenza di tasca loro li fa imbestialire. Per questo vanno dal vicepresidente Joan Gaspart. Gli chiedono di parlare con il presidente, di convincerlo a spiegare al Fisco che non c’è niente di irregolare nei loro contratti. O, in alternativa, di aprire il portafogli e saldare la differenza. Solo che Núñez non ha nessuna intenzione di pagare. La possibile trattativa si trasforma subito in un muro contro muro.

Così, il 28 aprile del 1988, l’intera rosa del Barça decide di affittare a proprie spese una sala dell’Hotel Hesperia, situato a pochi minuti dal Camp Nou, e di convocare i giornalisti. Hanno qualcosa di grande da annunciare, dicono. Anche perché dopo due giorni devono affrontare il Real Madrid. Tutto perfetto, se non per un unico, piccolissimo, dettaglio: l’albergo era di proprietà del vicepresidente. “All’improvviso ho ricevuto una chiamata del direttore dell’hotel – ha raccontato Gaspart a El Pais – Ascolta, i tuoi giocatori mi hanno chiesto una stanza per una conferenza stampa. Mi hanno detto che non riguarda il club, ma soltanto loro”. Gaspart abbassa la cornetta ma la rialza immediatamente. Chiama Luis Aragones, l’allenatore che alla quinta giornata aveva sostituito Terry Venables. Gli domanda cosa sta succedendo, se quelle voci sono vere.

“Me l’ha confermato – ha aggiunto – Mi ha detto che avrebbero attaccato il presidente e mi hanno chiesto se ero dalla loro parte. ‘E tu che farai?’. Mi rispose: ‘Se vado, batteremo il Real e potrai licenziarmi. Se non vado, non vinceremo più neanche una partita‘”. I giocatori pensano di poter mettere il presidente con le spalle al muro. Anche perché appena un mese prima avevano vinto, in maniera insperata, la Coppa del Re. Un misero 1-0 contro la Real Sociedad, una partita difficile che era stata sbloccata da Alexanco. E ora, proprio capitan Alexanco, stava per far esplodere una bomba. Una bomba che passerà alla storia come l’ammutinamento dell’Hesperia.

Il difensore si schiarisce la voce e inizia a leggere. “I giocatori del Barcellona per rispetto ai tifosi, che sono i veri danneggiati dalla nefasta gestione del presidente e della sua giunta direttiva, hanno l’obbligo di rendere pubblico il loro pensiero”. Seguono sette punti che sono un pugno allo stomaco per Nunez. Il capitano accusa il presidente di aver tentato di mettere i giocatori l’uno contro l’altro, di averli delusi e umiliati, di non rispettare i patti, di non sapersi relazionare con i giocatori. A chiudere il comunicato c’erano due frasi spot: “Un club come il nostro non può vivere in un continuo stato di agitazione“. E ancora: “Anche se la richiesta di dimissioni e un diritto dei soci del club, noi della rosa suggeriamo: dimissioni!”.

Le cose, però, non vanno esattamente come i giocatori avevano immaginato. La domenica si gioca el clasico contro il Real. Quando il Barcellona arriva al Camp Nou gli animi sono già tesi. Julio Alberto è il primo a scendere dal pullman e viene aggredito da uno dei Los Morenos, un gruppo piuttosto acceso si sostenitori del presidente. E anche all’interno dello stadio le cose non vanno meglio. Uno striscione recita Nunez non mollare. E ogni volta che un giocatore azulgrana tocca il pallone ecco che dagli spalti piovono fischi. È così per tutti, tranne che per Schuster, l’unico a essersi dissociato pubblicamente dal comunicato. Qualcuno dice che la notte precedente alla lettura del comunicato il tedesco abbia ottenuto dei soldi dal presidente, altri sostengono che il giocatore stia già trattando con altri club o che, addirittura, abbia già firmato con il Real.

Fatto sta che il Barcellona vincerà 2-0 contro i campioni di Spagna. Una zolletta di zucchero in un mare di lacrime. Una settimana più tardi Nunez affida la panchina del Barcellona a Cruyff. Il genio olandese inizia un’impressionante opera di pulizia: i contratti di Gerardo, Victor e Schuster non vengono rinnovati, mentre altri dieci giocatori vengono messi alla porta. Alexanco viene confermato su richiesta di Cruyff insieme a Carrasco, Julio Alberto, Migueli, Robert, Salva, Urbano e Zubizarreta (uno che non andrà mai d’accordo con il tecnico olandese). Sembra la fine di un’epoca, invece è l’inizio di un’era doro che porterà alla nascita del Dream Team, la squadra plasmata a immagine e somiglianza di Cruyff che nel 1992 vincerà la Coppa dei Campioni. A Wembley. Contro la Sampdoria.

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