La crisi che sta portando il coronavirus ci ricorda quanto importante sia la collaborazione. Dobbiamo riprendere il concetto di comunità e investire sulle persone se vogliamo far crescere il benessere collettivo. La comunità è la base per creare ponti tra città ed entroterra. Abbandonare l’altro e lasciarlo annegare nei problemi porta solo scontri e guerre. Qualunque libro di storia potrebbe confermarlo. Creare, quindi, comunità nel nostro entroterra per sviluppare una reale sinergia con la città.
Dobbiamo dare vita a un processo di inclusione che distribuisca lavoro e benessere su tutto il territorio nazionale attraverso una decentralizzazione capace di dare forza a un nuovo progetto di vita in cui città e paesi, tecnologia e paesaggio vanno a braccetto e trovano sviluppo reciproco nella collaborazione. Dobbiamo investire in una convivenza basata su nuovi stili di vita e di produzione in cui tutto il territorio contribuisce al benessere collettivo e tutto il territorio va difeso e tutelato.
Si potrebbero migliorare i finanziamenti e i contributi a fondo perduto per le imprese agricole e per chi vuole aprire attività in campagna; snellire una assurda burocrazia che ignora ogni logica legata alla campagna; concedere terreni comunali abbandonati a famiglie che scelgono di occuparsene e vivere con ciò che producono e vendono; agevolare le aziende che decidono di creare sedi nell’entroterra piuttosto che nelle periferie urbane; non chiudere i piccoli ospedali nei paesi, come ci insegna il coronavirus; aumentare il numero di scuole nei piccoli centri o aumentare le navette che rendano più facile la vita agli studenti dell’entroterra; investire nell’offerta culturale attraverso biblioteche ed Ecomusei capaci di creare cultura, eventi e attrazione turistica in tutto l’arco dell’anno e non solo in estate.
Ma soprattutto bisognerebbe investire nella Formazione prendendo ad esempio l’Alto Adige: in Val d’Ultimo esiste la “Winterschule Ulten”, una scuola che recupera antichi lavori artigianali attraverso la valorizzazione di prodotti del territorio. Il risultato è che molti giovani hanno trovato lavoro grazie a questa scuola. Tanti ragazzi restano in valle lavorando, guadagnando e tenendo in ordine il paesaggio perché sanno che la loro sopravvivenza dipende da quanto rispetteranno la natura. In questo processo di maestria artigiana la tecnologia riveste un ruolo di primissimo piano aiutando a produrre meglio, con meno fatica e con un impatto diverso sugli ecosistemi.
Insomma, bisogna semplificare la vita a chi sceglie di vivere in montagna, in campagna o comunque in piccoli centri.
Dobbiamo creare le condizioni che possano aiutare i disoccupati di città a cercare lavoro in campagna perché ne avrebbe beneficio sia la loro vita, sia l’ecosistema. Se non rendiamo più accettabile la vita nell’entroterra nessuno mai abbandonerà la città dove è più facile trovare supermercati, farmacie, cinema e gente da incontrare per strada o al bar.
In questa interazione tra città e entroterra anche la cultura riveste la sua importanza, perché solo facendo passare il concetto che il paesaggio è uno straordinario patrimonio della nostra civiltà potremo rendere appetibile la vita in piccoli centri. Si pensi all’Unesco che, decretando i muretti a secco Patrimonio Immateriale dell’Umanità, restituisce rispetto e dignità alla maestria artigiana e al lavoro in campagna.
La cultura cambia le regole del gioco, ricordo un documentario sull’Ilva di Taranto in cui si vedevano degli ulivi pronti ad essere estirpati per far spazio alla cattedrale di acciaio e vetro dell’industria siderurgica. Ebbene, i testi che presentavano la campagna come “miseria”, come qualcosa di vecchio e da abbandonare, erano di Dino Buzzati e la voce che li leggeva era di Arnoldo Foà. Un grande scrittore e un grande attore per sradicare la gente dalla campagna e farne operai. Quegli operai che oggi patiscono mille e un problema. La cultura è stata e sarà sempre di primaria importanza nel far passare un concetto piuttosto che un altro.
Quindi si deve investire nel lavoro, nella sanità, nella scuola, nella formazione e nella cultura rendendo visibile, attraverso ogni canale, una alternativa di vita alla disoccupazione delle periferie urbane. Certo, nessuno si illude di invertire la rotta, ma offrire occasioni reali di lavoro ai disoccupati di città e salvaguardare il paesaggio è già un obiettivo straordinario. Collaborazione attiva tra città ed entroterra significa provare a nutrire un pianeta in cui l’ecosistema sta precipitando.