Da più parti ci si chiede quando sarà possibile allentare le misure restrittive attualmente in vigore contro il Covid-19, perché il loro costo economico e sociale è ingente. L’esperimento fatto finora è pressoché unico nella storia dell’epidemiologia, e il suo successo, sebbene sorprendente, potrebbe essere temporaneo.

Le epidemie sono state combattute fin dall’epoca tardo medioevale con l’isolamento dei malati e la quarantena dei sospetti; entrambe le misure avevano un preciso limite temporale, la guarigione del malato per l’isolamento, il tempo necessario alla malattia per manifestarsi per la quarantena. Ciò che noi stiamo cercando di fare oggi è un isolamento dei sani su scala di nazioni intere e di durata indefinita.

Una malattia virale guarisce quando le difese immunitarie del malato si sviluppano e uccidono il virus; il malato diventa allora immune. Una epidemia finisce quando la popolazione è diventata in maggioranza immune e il virus non trova più ospiti. Ci sono casi in cui una epidemia può finire prima di questo momento, per ragioni intrinseche all’ecologia del virus e del suo rapporto con l’ospite: ad esempio una parte della popolazione può essere geneticamente meno suscettibile o il contagio può richiedere condizioni climatiche specifiche e l’epidemia avere un andamento stagionale.

L’isolamento dei sani riduce il contagio ma anche il tasso di immunizzazione della popolazione e pertanto, in assenza di un vaccino, la popolazione rimane suscettibile. Il vaccino può essere usato per rendere immune, senza malattia, la stragrande maggioranza della popolazione ed è l’unica vera arma contro le epidemie; ma il vaccino contro il Covid non sarà disponibile prima di parecchi mesi. Ciò che noi stiamo facendo contro l’epidemia, in mancanza del vaccino, è la stessa cosa che fa l’allevatore di galline contro le volpi: chiudere le galline nel pollaio.

Purtroppo l’isolamento non uccide il virus, così come il muro del pollaio non uccide le volpi. Infatti anche quando l’epidemia sembra sconfitta il virus continua a circolare, con un basso tasso di incidenza, e prima o poi causa una nuova epidemia. Far sparire il virus è difficile. Eradicare il vaiolo ha richiesto anni di sforzi ed è stato possibile grazie ad un vaccino efficacissimo; invece il morbillo, nonostante un vaccino altrettanto efficace, non è stato ancora eradicato. Nella storia dell’epidemiologia si riportano epidemie che dopo alcuni cicli sono scomparse spontaneamente, come la sweating sickness che colpì l’Inghilterra a varie riprese tra la fine del ‘400 e la metà del ‘500, ma questi casi di incerta interpretazione non possono costituire una guida per il presente.

La logica dell’isolamento dei sani è quindi quella di rallentare i contagi ad un punto tale da evitare il sovraccarico delle strutture ospedaliere, o fino allo sviluppo del vaccino. Questa misura non fa scomparire il virus e non crea le condizioni per far finire l’epidemia perché chi non si contagia non si immunizza. Poiché è prevedibile che misure di contenimento possano essere necessarie abbastanza a lungo, e poiché hanno costi esorbitanti dai punti di vista economico, sia pubblico che privato, sociale (la paura del vicino-untore) e politico (l’autoritarismo di misure costituzionalmente dubbie; l’esautorazione del Parlamento ungherese), occorre chiedersi quanto debbano essere stringenti e limitarle appena possibile all’indispensabile. Con il duplice scopo di renderle economicamente sostenibili e compatibili con le prassi democratiche.

Resta ferma la necessità di regolare il corso dell’epidemia in modo da consentire che il contagio e l’immunizzazione della popolazione avvengano nelle migliori condizioni di assistenza possibili. Di certo non possiamo pensare che l’epidemia scompaia a breve. Chiamatela seconda ondata, se volete.

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