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Il dizionario dei neologismi del coronavirus. Parto dalla parola ‘droplet’

Il dizionario dei neologismi del coronavirus. Parto dalla parola ‘droplet’
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di Massimo Arcangeli

Per aiutare i lettori a orientarsi nel ginepraio di parole ed espressioni che l’emergenza sanitaria mondiale ha portato inevitabilmente con sé, per aiutarli a decifrarle (che forse è anche un modo per provare a rassicurarli, perché la comprensione di quel che non si conosce, in certe situazioni, ha una funzione terapeutica), ho deciso di allestire un piccolo dizionario di neologismi e tecnicismi al tempo del coronavirus. Parto da droplet.

Nel decreto del Presidente del Consiglio emanato il 4 marzo scorso per l’emergenza coronavirus è comparso per la prima volta l’obbligo di mantenere la distanza di sicurezza di almeno un metro dalle altre persone, a meno che non vivano sotto il nostro stesso tetto:

sono sospese le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, che comportano affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro (art. 1 comma 1, lett. b).

Il termine inglese circolante ultimamente in Italia per indicare la distanza in questione è droplet, spesso però utilizzato dai mezzi d’informazione per significare altro, come le modalità (o le dinamiche) di trasmissione del virus, e ormai ricorrente in numerose espressioni: distanza doplet, criterio doplet, effetto doplet, norma doplet, rischio doplet.

In inglese droplet significa ‘gocciolina’, e compare anche in questo caso in diverse espressioni: droplet infection, l’infezione provocata dalle goccioline; droplet precautions, le precauzioni da prendere per evitare di esserne infettati; le Flügge droplets, le “goccioline di Flügge”, dal nome del batteriologo tedesco (Carl Flügge, 1847-1923) che ne scoprì la capacità patogena, alla fine del XIX secolo, per malattie come il colera o la tubercolosi.

Emesse nel tossire o nello starnutire, ma anche semplicemente nel parlare, le goccioline infettanti sono piuttosto grandi – superano i 5 μm (micrometri, ‘milionesimi di metri’) – e hanno un ristretto raggio d’azione, che può anche aumentare in dipendenza da determinati fattori (una maggiore densità delle microgocce salivari, una più alta velocità d’espulsione, una maggiore umidità o ventilazione ambientale). Secondo alcuni epidemiologi la distanza di sicurezza per evitare che ci raggiungano sarebbe comunque superiore a un metro. Corrisponderebbe a poco meno di due metri.

Le secrezioni rimangono in sospensione nell’aria per un breve lasso temporale, penetrano nell’organismo attraverso mucose di particolare permeabilità (gli occhi, il naso o la bocca) e possono trasmettere per via aerea diversi virus respiratori (oltre al coronavirus: l’adenovirus, i virus responsabili di influenze e parainfluenze, ecc.). Sono agenti patogeni diversi dai residui di goccioline evaporate, responsabili di infezione respiratorie trasmesse per dispersione (airborne infection), che possono rimanere sospese nell’aria per un più lungo periodo di tempo.

Qualche scienziato ha ipotizzato che il coronavirus potrebbe contagiare anche così, rimanendo in sospensione più a lungo di quanto generalmente si pensi. Mancano ancora però, per fortuna, prove sicure al riguardo.

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