Si può fermare l’epidemia di Covid-19 in Italia con meno di un miliardo di euro e senza distruggere l’economia. Basta fare due conti e osservare quello che sta succedendo nel Paese, ma ci vuole il coraggio politico di ammettere che la strategia attuale non basta e che bisogna cambiare.

Partiamo dai punti condivisi: se il contagio continua a diffondersi a questa rapidità, non ci sarà mai modo di costruire abbastanza terapie intensive da gestire tutti i pazienti che ne avranno bisogno. Abbiamo cercato di rallentare la diffusione con il distanziamento sociale (#iorestoacasa), ma le terapie intensive sono già sature in Lombardia, nelle Marche, in Liguria, quasi in Piemonte.

Restare a casa non basta. Bisogna individuare i contagiati asintomatici, evitare che contagino i familiari con cui convivono e gli eventuali colleghi di lavoro o il pubblico con cui interagiscono. Sembra una ovvietà, ma oggi in Italia questo tipo di prevenzione manca.

I medici di famiglia che chiedono di testare pazienti sospetti di Covid – perché hanno familiari malati o i primi sintomi – non ottengono la disponibilità del test che viene incredibilmente fatto in modo prioritario a chi ha già complicanze respiratorie. Usiamo i test per avere conferma di quello che i medici già sanno invece che per raccogliere l’unica informazione che conta: capire chi può ancora diffondere il contagio e prevenire.

Dicono i pochi critici rimasti a questo approccio: non possiamo testare 60 milioni di italiani. Ma non è questo il punto. Bisogna testare due tipi di persone: quelli che devono avere contatti con il pubblico – medici, infermieri, pompieri, poliziotti, esercito, edicolanti, cassieri dei supermercati – e quelli che i medici, di famiglia e ospedalieri, considerano sospetti.

Un esempio (reale): in una famiglia ci sono padre e madre contagiati, uno dei figli con sintomi sospetti e una figlia perfettamente sana che va a fare la spesa, a comprare medicine e anche a lavorare. Bisogna testare lei. Ma oggi non succede.

Se avete dubbi su questo approccio, controllate questo modello elaborato dal premio Nobel per l’economia Paul Romer che dimostra anche graficamente quanta differenza può fare questo approccio nel contenere il contagio. Trovate il modello su ProMarket.org.

Veniamo ai costi. Un tampone costa 15 euro, stimiamo 30 considerando anche i costi indiretti (personale, laboratori da potenziare ecc). Tutti i test fatti finora dall’inizio della pandemia -454.030 – sono costati quindi non più di 13 milioni. Milioni, non miliardi.

Un posto letto in terapia intensiva ha un costo stimabile in 3000 euro al giorno per paziente. Il costo totale dei tamponi fatti finora equivale a quello di due giorni di terapia intensiva per gli attuali 3.906 italiani attaccati alle macchine. Conviene evitare che la gente finisca intubata, piuttosto che moltiplicare all’infinito i costosi posti di terapia intensiva.

Fate due conti: c’è bisogno di un test per capire se una persona è malata e di due per stabilire se è guarita. Tre test a persona. Con 1,8 miliardi di euro si possono testare 20 milioni di italiani tre volte o 60 milioni di italiani una volta. Soltanto nell’ultimo provvedimento per attenuare l’impatto sociale della crisi ha stanziato 4,3 miliardi.

Ovviamente non c’è alcun bisogno di testare tutti. Basta cominciare dal sottinsieme ristretto dei lavoratori a contatto con il pubblico, dei pazienti sospetti indicati dai medici e dai loro contatti: di questa gente sappiamo nomi, numeri di telefono, indirizzi, senza bisogno di satelliti, spionaggio dei cellulari o altre diavolerie. Stimiamo, per eccesso, che si tratti di 10 milioni di persone: il costo sarebbe di soli 900 milioni, nell’ipotesi di testarli tutti tre volte.

Chi va a fare il test, poi, potrebbe segnalare i nomi delle persone con cui è stato in contatto cosi da ricostruire la rete dei soggetti a rischio. Gli italiani, popolo generoso, stanno donando milioni di euro per costruire terapie intensive. Se iniziassero a finanziare test e laboratori per esaminare in tempo rapido i campioni, saremmo già a buon punto nella lotta alla pandemia invece che in questo disastro di cui non si vede la fine.

Basta decidere di cambiare approccio e cominciare. Subito.

Non abbiamo alternative, anche perché soltanto un monitoraggio costante ci permetterà di uscire dalla pandemia: visto che i diversi Paesi del mondo sperimentano la crisi con sfasature temporali, o costruiamo un sistema di monitoraggio che possa isolare i potenziali malati per, diciamo, tutto il 2020 oppure ci condanniamo a isolarci dal resto del mondo finché non ci sarà più un solo infetto in tutto il pianeta (come saperlo, poi, se non si fanno i test?). E, rinchiusi nei confini nazionali, dovremo rassegnarci alla apocalisse economica e a seppellire i nostri cari.

Articolo Precedente

Coronavirus, l’infettivologo cinese: “Per fermare il contagio bisogna chiudere tutto. Servono più tutele per i vostri medici”

next
Articolo Successivo

Coronavirus, dentro l’Istituto Città Studi di Milano: “Così abbiamo rivoluzionato l’ospedale. Criticità? Carenze di personale e di farmaci”

next