È una corsa contro il tempo nelle Marche, il fronte più a Sud dell’epidemia da coronavirus in Italia. Lì la curva dei contagi, in particolare nella zona di Pesaro, la più colpita, ha seguito lo stesso andamento della Lombardia. Sono oltre 3500 i contagiati della Regione, un numero altissimo se si pensa agli abitanti, appena 1,5 milioni. Discorso accentuato se si guarda alla sola provincia di Pesaro-Urbino, che ha oltre la metà dei casi. Le strutture sanitarie sono al collasso. Le più grandi – l’ospedale Marche Nord e il presidio di Torrette di Ancona – hanno le terapie intensive già sature, come spiegano al Fattoquotidiano.it i rispettivi primari, Michele Tempesta e Abele Donati. Entrambi si chiedono “cosa fare” già da oggi. Secondo la Regione restano circa 10 giorni di tempo prima del picco, quando il sistema sanitario regionale nelle condizioni attuali rischierebbe il tracollo. Per questo, ricorda Angelo Sciapichetti, assessore alla Protezione civile, l’obiettivo è costruire un nuovo presidio con nuovi posti di terapia intensiva, entro massimo 15 giorni. L’area è già stata individuata, ma mancano ancora gli ultimi permessi e l’impresa sembra difficile: servono 12 milioni di euro. La preoccupazione è lo spostamento dei contagi verso le zone più meridionali delle Marche. Sotto la linea di Ancona, infatti, i positivi sono ancora relativamente pochi e le strutture Covid nelle province di Fermo, Macerata e Ascoli Piceno ricevono già alcuni dei pazienti dal Nord.

Pesaro e Ancona in sofferenza: “Ci chiediamo dove mettere il prossimo”
A Pesaro e ad Ancona non c’è più posto. Nei due principali ospedali delle Marche allestiti per rispondere all’emergenza coronavirus, i letti di terapia intensiva sono esauriti. “Nessuno si aspettava che qua esplodesse in maniera così devastante”, dice al Fatto.it il primario dell’Unità di anestesia e rianimazione di Pesaro, Michele Tempesta. Proprio lui con il suo team ha dovuto per primo fronteggiare il Covid-19 nella Regione. “Qui abbiamo 150 posti di subintensiva e 40 in rianimazione. Partivamo da 7 posti di intensiva, ma li abbiamo aumentati utilizzando gli spazi dell’unità coronarica, della chirurgia, della medicina d’urgenza e del blocco operatorio – spiega ancora Tempesta – Spostarli è molto difficile e anche Ancona è piena”. Il problema del Pesarese sta proprio nel numero di abitanti in rapporto ai positivi: sono oltre 1500 i contagi in provincia a fronte di poco più di 350mila persone. “Io non guardo i numeri – prosegue il primario – Non dico che siamo ai livelli di Bergamo, ma siamo vicini”. Anche qui come in Lombardia ci sono stati momenti critici dovuti all’assenza di protezioni. “Le abbiamo sempre usate – specifica Tempesta – Ma sono state contingentate. Non ci si poteva svestire una volta di più”. Anche il rapporto con il paziente è cambiato, soprattutto perché all’inizio, quando ancora non si conosceva la portata dell’emergenza, “si è andati anche in crisi di organico”. “Questi sono pazienti che hanno bisogno di personale costante, vanno aspirati, pronati e vanno seguiti costantemente – specifica – In tempi normali anche solo due di questi casi in reparto ti assorbono completamente”. La risposta del personale medico e infermieristico, comunque, assicura il primario “è stata ottimale”. “È una situazione che ti porta al limite – conclude – ma ora noi dobbiamo solo lavorare. Ci sarà tempo per il riposo”.

Anche ad Ancona la situazione non è semplice. Qui l’ondata di casi è arrivata in un secondo momento quando già al livello nazionale l’allerta era alta. Non si era ancora chiuso tutto, anche se il presidente della Regione, Luca Ceriscioli, aveva già rafforzato le misure rispetto ad altre parti in Italia, ad esempio andando contro il governo e chiudendo comunque tutte le scuole. “Noi siamo partiti più preparati vista l’esperienza sia del Nord Italia che del Nord delle Marche – spiega Abele Donati, primario dell’Unità di rianimazione e anestesia dell’ospedale di Torrette, il principale della Regione – Abbiamo subito acquistato macchinari per allestire degli spazi a pressione negativa, una misura efficace per prevenire le contaminazioni agli operatori”. Oggi l’ospedale dispone di 40 posti di terapia intensiva e tutti, ricorda il dottor Donati, “sono occupati”. “Noi abbiamo in tutta la struttura 200 pazienti con Covid-19, 40 in rianimazione tutti gravi e intubati – spiega – E a cinque abbiamo dovuto mettere l’ossigenazione extracorporea. Sono pazienti complessi perché possono arrivare ad avere un’insufficienza multiorgano e la loro degenza può essere molto lunga, in media di 15 giorni”. Anche se i casi di Ancona sono arrivati più tardi, l’ospedale ha subito dovuto dare una risposta all’emergenza nel Pesarese. “In una notte sono arrivati 50 pazienti dal Nord delle Marche, ma non potevamo tirarci indietro”, racconta Donati. La domanda che si fa ora il primario è semplice: “Dove metteremo il prossimo?”. Lo spazio è stato usato tutto: “Partivamo da 18 posti di rianimazione e ne abbiamo aggiunti 22 all’interno del blocco operatorio – dice al Fatto.it Donati – Ad oggi abbiamo tra terapie intensive e non un totale di 8 aree Covid con pazienti con gravità diverse. Ma nonostante l’azione previdente siamo saturi in tutte le aree e non sappiamo più dove metterli”. A mancare è soprattutto il personale infermieristico. In “tempo di pace”, infatti, il rapporto in rianimazione è di 1 infermiere ogni 2 pazienti, addirittura 1 a 1 quando si usano macchinari complessi. Oggi invece si è saliti a 1 a 4. “È difficile stare per molto tempo in questi reparti vista la pressione negativa – specifica il primario – Ma nessuno si è mai tirato indietro, nonostante i turni massacranti”. Alla fatica di trovare un posto per tutti, si è aggiunta in queste settimane quella di trovare sufficienti dispositivi. “Noi andiamo avanti giorno per giorno – dice ancora Donati – E certo non è semplice trovare i Dpi. È una lotta per averne a sufficienza”. L’ansia e la paura di poter essere veicoli di contagio ci sono, soprattutto perché, specificano entrambi i primari, “la politica aziendale è quella di non fare i tamponi ai sanitari se non in presenza di più sintomi”.

La soluzione della Regione: la nuova struttura da 100 posti
Dieci giorni. Secondo la Regione è questo il tempo che le Marche hanno a disposizione prima di esaurire i posti per i pazienti Covid, anche se le terapie intensive dei due principali presidi sono già piene. “Per la curva che abbiamo – spiega l’assessore alla Protezione Civile Angelo Sciapichetti – mancano ancora alcuni giorni alla saturazione. Ci sono presidi Covid, come Camerino, Fermo, San Benedetto che ancora possono ricevere pazienti. Anche se il personale è sotto stress. Per questo dobbiamo allestire velocemente il nuovo spazio”. Il riferimento è a un nuovo ospedale che sarà collocato, dopo diversi luoghi proposti ma scartati perché non idonei, alla Fiera di Civitanova Marche. Qui, in uno spazio di oltre 5000 metri quadrati saranno allestiti 100 nuovi posti di terapia intensiva. Il consulente per i lavori, così come per il presidio di Milano, è Guido Bertolaso, che proprio pochi giorni prima di risultare positivo al Covid-19, è stato nelle Marche per discuterne la fattibilità. La Regione non gestirà i fondi, tutto sarà in mano a un ente privato, la stessa fondazione di cui fa parte l’ex capo della Protezione Civile e che lo sta sostenendo in questa attività emergenziale, cioè l’Ordine di Malta. “Non poteva essere un intervento pubblico – spiegano dalla Regione – Sarebbero serviti gare e appalti. È una questione di velocità”. L’obiettivo è trovare in pochi giorni 12 milioni di euro, solo così si potrà procedere con la realizzazione della struttura. Difficile quindi immaginare che tutto possa essere pronto prima della metà di aprile. Le strumentazioni, rassicura Sciapichetti, verranno direttamente dalla Protezione Civile nazionale, mentre, il vero problema, sarà quello del personale sanitario. “Siamo ancora in attesa di medici e infermieri, ma stiamo facendo un passo alla volta”, conclude.

Il boom dei contagi a Pesaro: l’ipotesi delle Final Eight
Difficile capire come mai proprio il Pesarese abbia rappresentato un focolaio del coronavirus più forte di molte zone dell’Emilia-Romagna, anche se lontano dalle “zone rosse” della Lombardia. Secondo l’epidemiologo Marco Pompili, dell’Asur Area Vasta 1 – Urbino, “è presto per dire perché proprio Pesaro”. “Di sicuro c’è che la zona industriale lì è molto sviluppata, esporta molto”, spiega l’epidemiologo che mette in campo anche un’altra ipotesi. “Sono stati fatti diversi eventi a Pesaro a febbraio – ricorda – Tra cui le Final Eight di Coppa Italia di pallacanestro”. La stessa congettura, e cioè che proprio l’Arena che ha ospitato almeno 32mila persone, molte delle quali provenienti dal Nord Italia, possa aver rappresentato un piccolo focolaio, è stata detta anche dal sindaco della città marchigiana, Matteo Ricci. “Probabilmente questa grandissima festa di sport, con una notevole concentrazione di persone, ha inciso”, ha spiegato il primo cittadino durante una puntata di Agorà. Dello stesso parere anche il primario Michele Tempesta, che però sottolinea come “alcune polmoniti strane” erano state registrate al Pronto soccorso a partire da gennaio.

L’epidemiologo: “Il picco tra 10 giorni, ma è importante non sfondare a Sud”
Pesaro come Wuhan. È l’immagine che restituisce la curva dei contagi dell’area più colpita delle Marche. Ad analizzarla, appunto, l’epidemiologo Pompili, che fin dal primo giorno si è messo a tavolino insieme ai tecnici della Regione per cercare di “leggere” i numeri e di poter prevedere l’andamento. “Così come in Cina e in Lombardia – spiega Pompili al Fattoquotidiano.it – Pesaro ha passato i primi cinque giorni con un andamento di crescita al 50%, poi si è scesi attorno al 18%. Solo da poco più di una settimana si è in fase calante, dimostrazione che siamo entrati in una terza fase”. Secondo le stime il picco in regione potrebbe essere tra una decina di giorni, mentre nel Pesarese la fase di discesa “è già cominciata”. Questo non vuol dire, però, che l’attenzione possa diminuire. “Anche a causa dello stress delle strutture sanitarie – continua l’epidemiologo – l’andamento va monitorato. Può ancora subire scossoni, soprattutto se le misure non vengono rispettate”. L’attenzione ora è tutta sul sud delle Marche. Proprio qui, come ha spiegato anche il governatore Ceriscioli, si è cercato di agire per tempo anche aumentando i tamponi. “Per la sostenibilità del sistema sanitario il Centro e il Sud devono tenere questi numeri (ancora bassi ndr.) – spiega ancora Pompili – se sfondasse al Sud sarebbe un problema”. Da non dimenticare, poi, “i contagi di ritorno” che, conclude, “ci costringeranno a convivere con il virus per un tempo più lungo”.

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