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Coronavirus, se a Milano arrivano i comunisti

Coronavirus, se a Milano arrivano i comunisti
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Tra ieri e oggi tre distinte missioni internazionali sono atterrate all’aeroporto di Malpensa. Prima i cinesi con le mascherine e i presidi sanitari, poi i russi con virologi e ventilatori, infine i cubani con la brigata internazionalista di medici esperti nell’emergenza.

Doveva essere la Lombardia, terra degli artigiani, dei padroncini, delle partite Iva, il popolo che ha costruito il successo delle Lega, il popolo che urlava contro “Roma ladrona!”, la terra che ha innalzato prima la bandiera della secessione, poi quella del federalismo infine dell’autonomia differenziata, a dover fare i conti con la realtà.

Oggi che chiede l’aiuto trova al suo fianco proprio quella che una volta chiamava Roma ladrona. Sono 7923 i medici volontari, moltissimi meridionali, che hanno risposto alla chiamata della Protezione civile, pronti a raggiungere i loro colleghi negli ospedali di Crema, Bergamo, Brescia, nelle campagne del lodigiano, nella Val Seriana. E in questa drammatica crisi il Sud Italia, com’è giusto che sia, riceve e cura i malati che non trovano più posto negli ospedali lombardi, stremati da una epidemia così violenta e inaspettata.

Arrivano dunque a Milano altri meridionali e soprattutto i comunisti. I cubani, paese che ancora soffre dell’embargo dell’Occidente, e quelli cinesi, i nemici eletti dei lumbard.

La storia si fa beffe di noi, e la realtà complica e destabilizza le nostre convinzioni. La catastrofe che si è abbattuta sull’Italia la costringerà a fare i conti con i suoi egoismi e le sue ossessioni.

Tra le cose buone che accadranno è che dovremo rinunciare a puntare l’indice e a dividere il mondo tra buoni (naturalmente noi) e cattivi (quasi tutti gli altri). Non è più così.

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