Il Ministero della Pubblica istruzione invia ai Presidi la richiesta di una verifica del lavoro fin qui svolto nei loro istituti. Un questionario per capire cosa è stato fatto, certo, ma soprattutto per rilevarne le modalità. Già perché in queste settimane di chiusura delle scuole, nonostante le più buone intenzioni, si è proceduto alla didattica a distanza in maniere molto differenti. Diverse le piattaforme utilizzate. Ma anche i servizi offerti agli alunni. C’è stata un po’ di confusione. Non avrebbe potuto essere altrimenti. Confusione sulla quale hanno influito diversi fattori. Non ultimo la capacità del corpo insegnante di organizzarsi. Di mutare radicalmente un modello d’insegnamento che nessuna riforma aveva potuto realmente modificare. Anche per questo i primi risultati rilevabili empiricamente evidenziano soprattutto una macroscopica difformità. Tra scuole superiori e scuole medie, innanzitutto. Ma poi anche all’interno di queste ultime.

Si potrà fare meglio, è indubbio. Si potrà essere più incisivi. Con l’esperienza maturata. Considerati anche gli immancabili errori. Non bisogna negarlo. Ma è doveroso rilevare anche altro. Più che per riconoscenza, per obiettività. In un Paese progressivamente chiuso per contagio, la scuola sta continuando ad essere aperta. Da casa, naturalmente. Con i ragazzi costretti tra le mura domestiche, la scuola non ha smesso di esserci. I professori hanno proseguito, come hanno potuto, a fare quel che devono. Insomma a spiegare le formule dei solidi poliedrici e l’analisi del periodo, la Resistenza italiana e gli aggettivi comparativi in francese. A suggerire esercizi e letture, video e quiz. Ma hanno anche, e direi soprattutto, guidato. Hanno accompagnato i ragazzi in queste prime settimane di permanenza a casa. Li hanno confortati nelle loro fragilità, che l’emergenza sta evidenziando. Perché il disastro nel quale siamo piombati, quasi senza rendercene conto, non può non comportare dei disagi. Anche psicologici. Che i ragazzi più di altri mostrano.

La didattica a distanza finora ha avuto un merito indiscusso. Quello di alterare abitudini consolidate. Di mutare rapporti tra attori diversi. La mancanza delle consuete lezioni della mattina, a scuola, ha provocato una certa confusione. Anche tra gli alunni. Che al contrario di quel che erano soliti fare nella normalità, hanno iniziato a stare a scuola anche di pomeriggio ed anche di sera. Come? Inviando domande e restituendo compiti ai loro insegnanti. Utilizzando mail e chat di whatsapp. Cercandoli. Insomma avviando un rapporto che con le lezioni in classe sembrava impossibile. Addirittura inimmaginabile. Una scuola certo a distanza, ma sostanzialmente sempre aperta. Circostanza questa che, nonostante la disperazione di qualche insegnante fiaccato per le attività senza fine, può considerarsi un successo. Forse non per quel che riguarda la didattica. Certamente riguardo il fine ultimo al quale dovrebbe aspirare la scuola. Insomma, formare persone responsabilmente capaci di muoversi in circostanze differenti. In questi giorni lavorare sui ragazzi dovrebbe significare principalmente questo. Badare a rinsaldare le certezze, curando come possibile le insicurezze. Anche facendoli esercitare sulle somme dei polinomi e il dadaismo, la favola e l’incastellamento. Ma non soltanto su quello.

“A Barbiana tutti i ragazzi andavano a scuola dal prete. Dalla mattina presto fino a buio, estate e inverno. Nessuno era negato per gli studi”. Che l’emergenza ci costringa a ritornare a Don Milani? Ora più che mai gli eroi sono i medici che provano a salvare vite umane, E’ indubitabile. Dedicargli striscioni ed applausi è solo un modesto tributo. Ma riconosciamo a molti insegnanti un ruolo importante. Quello di “ammortizzatori” di ansie e paure. Dei nostri ragazzi.

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