di Adriano Tedde*

In tempi di pandemia, preferite un leader che proclama di voler salvare vite umane o uno che insiste sulla necessità di salvare i posti di lavoro? Il governo australiano da settimane minimizza l’impatto del coronavirus, focalizzandosi esclusivamente sulle possibili ripercussioni che la malattia avrà sull’economia nazionale.

Dopo aver annunciato lo scorso giovedì un piano di stimolo economico per 17 miliardi di dollari, il premier federale Scott Morrison ha limitato le dichiarazioni pubbliche ed evitato il confronto con la stampa ansiosa di chiedere quello che tutti gli australiani vogliono sapere. Ora che il piano economico è stato svelato, qual è il piano sanitario? Siamo arrivati a martedì 17 e nessuno ancora lo sa.

Due giorni fa è stato annunciato l’obbligo di auto-isolamento per tutte le persone che arrivano dall’estero, eventualità impossibile da monitorare in un paese di 25 milioni di abitanti sparsi su altrettanti chilometri quadrati. È stato quindi imposto un divieto a tutte le manifestazioni che richiedono la partecipazione di oltre 500 persone.

Nel frattempo, le competizioni sportive si svolgono tutte regolarmente senza pubblico per garantire il flusso di diritti tv. I responsabili della Lega di calcio australiano lo hanno dichiarato pubblicamente senza vergogna. Scuole e università, è stato ripetuto più volte dal 15 marzo ad ora, saranno inevitabilmente chiuse, ma per adesso tutto resta aperto. E aperti sono tutti gli esercizi commerciali che attraggono milioni di persone in una società che dipende altamente dai loro servizi su base quotidiana.

Ieri sera, né il premier, né il ministro della salute, Greg Hunt, si sono presentati in televisione per partecipare all’unico programma settimanale di approfondimento politico sul canale nazionale Abc. Al loro posto sedeva un ministro di seconda linea, Richard Colbek, responsabile per le politiche di assistenza agli anziani. Ha dato dimostrazione di possedere le medesime abilità del primo ministro nell’eludere ogni domanda fornendo risposte nebulose e probabilmente non veritiere. Il pubblico dunque non ha sentito una singola risposta diretta alle incalzanti domande di virologi e epidemiologi.

La mancanza di una vera leadership politica nella figura del primo ministro è preoccupante. Fino allo scorso venerdì Morrison continuava a minimizzare il problema, dicendo tronfio che non avrebbe mancato di unirsi alla folla dello stadio di Sydney per il calcio d’inizio della sua squadra del cuore nella partita di apertura del campionato di football australiano.

La popolazione, di fronte alle critiche che arrivano dagli scienziati, avverte che qualcosa sta per accadere e, senza linee guida precise su come comportarsi – fatta eccezione per uno spot televisivo che spiega come lavarsi le mani e starnutire – è in preda al panico. Nel fine settimana i supermercati sono stati presi d’assalto. Carta igienica, fazzoletti, liquido antibatterico, sapone, pasta, passata, farina, riso erano difficili se non impossibili da reperire.

È un comportamento irrazionale, ma difficile da condannare quando milioni di persone sono lasciate da sole a decidere sul da farsi in previsione di un’epidemia mortale. I contagi intanto aumentano di giorno in giorno. Nel momento in cui scrivo, le cifre ufficiali aggregate fornite dai singoli stati federati indicano 375 individui positivi al test e cinque decessi.

Morrison insiste che il suo compito è quello di salvare posti di lavoro. Dimostratosi incapace di gestire la crisi degli incendi estivi dello scorso gennaio, né lui né gli altri politici al governo appaiono in grado di affrontare l’imminente pericolo del coronavirus. L’Australia si unisce dunque alla schiera di paesi che hanno dato assoluta precedenza alle ragioni economiche prima di ogni ragionamento sulla sicurezza e la salute dei cittadini.

Il richiamo del profitto comune si rivela molto più forte del dovere della protezione del bene comune. Si insinua inoltre il terribile dubbio che, a porte chiuse, nel gabinetto del primo ministro qualche consulente stia promuovendo l’idea folle dell’immunità di gregge annunciata nella vecchia e sempre amata madrepatria inglese.

Forse nella mente di Morrison, la possibilità non remota della prima recessione australiana in 27 anni è il pericolo da evitare a tutti i costi per evitare una sconfitta alle elezioni generali del 2022. Recensione o no, la sua inazione gli costerà certamente le future elezioni. E come tanti altri leader nel mondo perderà il suo posto di lavoro per mano di elettori che si sentono abbandonati e hanno perso ogni fiducia nelle istituzioni.

Resterà solo da vedere se chi sostituirà lui e i suoi colleghi nel mondo comprenderà appieno la necessità di riformare i nostri governi per munirli di strumenti e conoscenze all’altezza delle sfide del futuro e renderli capaci di riavviare un multilateralismo umano e effettivo (il vero assente di questa drammatica crisi). Oppure, se dovremo assistere alla presa di potere da parte delle destre populiste che completeranno il lavoro di demolizione del dialogo e della cooperazione internazionale iniziato dalle tanto detestate élite attuali.

* Ho lavorato come diplomatico per la Repubblica Italiana tra il 2004 e il 2016 e sono stato Console d’Italia per lo stato dell’Australia Occidentale, a Perth. Tra il 2011 e il 2015 ho assistito centinaia di connazionali arrivati qui attratti dalla ricca economia, toccando con mano il fenomeno dell’emorragia dei cervelli fuggiti dall’Italia. Nel 2016, dopo la nascita della mia prima figlia, sono diventato un ricercatore universitario in Australia. Rimango profondamente interessato alla politica italiana e seguo con attenzione la rapida evoluzione della sua vita sociale, politica ed economica.
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