Non è che gli italiani comincino ad aver le scatole piene di messaggi apocalittici e terrorizzanti sul Coronavirus? Milano. Mercoledì 4 marzo. Me la faccio a piedi da Sesto San Giovanni fino a Porta Venezia, passando per viale Monza e corso Buenos Aires, aree ad alta densità di bar, supermercati e botteghe d’ogni genere. Ebbene, in quasi sei chilometri, ho incontrato quattro persone con la mascherina, due delle quali orientali, una latino americana e un’altra, una ragazzina, ahimè, a passeggio con il cane in un giardinetto dalle parti di Precotto: lei con la mascherina e il cane… pure (forse un caso psichiatrico). La gente faceva colazione nei bar, seduta ai tavolini esterni, chiacchierava, entrava e usciva dai negozi. Come sempre. Non mi è parso che Milano fosse in preda al terrore raccontato da certi media.

Poco dopo ho raggiunto in auto la redazione di Nocturno, il mensile di cinema che dirigo, che si trova a Pozzo d’Adda, circa 30 chilometri dalla famigerata zona rossa. Io e il vicecaporedattore Davide Pulici ci fermiamo in un bar, prendiamo il caffè come altri avventori che leggono tranquilli il giornale (unica, obbligatoria, limitazione da decreto regionale: tutti sono seduti al tavolino e non al banco). A ora di pranzo raggiungiamo il centro commerciale di Vaprio (ancora più vicino all’area off limits) e mangiamo un panino al self service (pieno) del supermercato, per altro traboccante di alimentari e prodotti d’ogni tipo. Mascherine? Nessuna.

Non mi dilungo oltre. E arrivo subito a una considerazione. Sconsolante. Faccio il giornalista da quasi quarant’anni, sono stato in zone di guerra, ho seguito omicidi e fatti di cronaca, nera e bianca, persino rosa, un po’ ovunque. E, per la prima volta, guardando certi programmi tv (magistralmente sintetizzati da Blob) ho provato un sentimento di vergogna nell’appartenere alla categoria. Un sentimento che quasi mi colpevolizza se penso ai tanti coraggiosi colleghi che rischiano la pelle (e a volte la perdono) sui fronti bellici e ai bravi e professionali giornalisti italiani che fanno correttamente (e spesso con fatica, non solo fisica) il proprio mestiere.

La vergogna mi assale, invece, assistendo alle performance dei cosiddetti inviati televisivi di certi programmi spazzatura pomeridiani (e spesso anche serali) diretti al cosiddetto (con un termine orribile) pubblico di massa. Punto primo: per definirsi inviato, così almeno recita il contratto nazionale giornalistico (art.11), occorre una qualifica (io l’ho ottenuta dopo dieci anni di gavetta). Ma lasciamo perdere la burocrazia. Conta la sostanza. Oggi, al contrario, i sedicenti (o meglio nominati da studio) “inviati” prolificano: ragazzi e ragazze al soldo di questa o quella conduttrice o conduttore di talk show (tutto studiato a tavolino); poveracci il cui solo compito è quello di tenere il microfono sotto la bocca dell’intervistato, teleguidati via auricolare dal conduttore vip; blogghettari d’ogni risma; e buona parte di loro – altro che inviati – ha un contratto a tempo determinato: spesso sono sfruttati e sottopagati, del tutto privi di un briciolo di professionalità. Da studio ricevono ordini precisi su cosa chiedere, come chiederlo, dove andare, chi sentire, tutto al fine di costruire una realtà virtuale a specifico uso televisivo.

Non bisogna meravigliarsi allora se succede, come è successo nei giorni scorsi, che uno youtuber (penso si dica così) affermi di essere entrato nella zona rossa di Codogno (falso, era a Guardamiglio) e sia stato giustamente fermato dalla polizia e denunciato per diffusione di false notizie. Peggio: il video è stato mostrato in un programma serale tv molto seguito. Ovvero, un gesto cretino diventa notizia. E non parlo di quanto accade in rete, perché lì chiunque può scrivere qualsiasi indimostrabile panzana. Non mi meraviglia, dunque, che, fino a pochi giorni fa, questo genere di bombardamento mediatico (quello spettacolare e idiota) abbia scatenato un comprensibile terrore, disseppellito ataviche paure, costretto le persone a un forzato colloquio interiore con il tema della malattia e persino della morte, tema che, oggi, è stato rimosso, soprattutto nelle generazioni più giovani, come fossimo tutti immortali.

Il criminale nazista Goebbels, non a caso ministro della Propaganda del Terzo Reich, diceva: “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte, e diventerà una verità”.

Il vero dramma è l’economia che sta andando a picco: prenotazioni di alberghi, bed & breakfast, ristoranti, quotidianamente annullate; negozi di innocenti cinesi chiusi. I turisti credono, evidentemente, al clima terroristico che si è creato. Gli italiani, piano piano, stanno invece facendo marcia indietro. Sarebbe ora di dire basta e creare palinsesti tv anche su altri temi. E ce ne sono tanti, importantissimi, che vengono quotidianamente ignorati.

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