Ieri, al centro commerciale, niente acqua, pane, né biscotti. La gente, di ogni ceto, zona ed età, in piena psicosi da coronavirus è stata presa dalla frenesia dell’acquisto. Riflettevo in fila su di una frase consegnatami anni fa, dalla nonna in antico toscano, “Un tempo un s’aveva nulla e si correva. Oggi s’ha tutto e si corre”.

Nel suo dire un tempo c’era fame, nel senso più primitivo del termine. Mi riferisco agli ultimi sei mesi di guerra, quando il tempo dell’occupazione tedesca in alta toscana coincideva con i bombardamenti alleati. Le condizioni sanitarie e alimentari di alcune di quelle zone raggiunsero livelli miserrimi. Le famiglie contadine (la quasi totalità) venivano private di farina, pane e legumi sia dagli occupanti sia da chi a questi si opponeva. Era talmente tanta, la fame, che non si aveva tempo di domandarsi null’altro oltre a che cosa si sarebbe portato a tavola quel giorno. Una situazione di frenesia simile a quella di oggi. La corsa partiva la mattina, con la tessera annonaria. Poi c’era il pomeriggio passato al mercato nero, e la sera la si dedicava al baratto tra vicini. Riempire la pancia era un bisogno primario talmente urgente da mettere ogni uomo e donna valida in un movimento costante nell’arco della giornata.

All’epoca carne, saponette e caffè erano talmente rari e ricercati da avere un valore (simbolico, appunto) assoluto, che azzerava il valore di ogni altra cosa. I ricchi si regalavano il grana per i matrimoni, il caffè , dicono, spesso si ostentava sulla credenza a bella vista per gli ospiti, ma a cena si beveva il surrogato di cicoria. Le diverse famiglie di quel luogo, sono tuttora identificate da un appellativo forgiato in quel periodo della fame. Un soprannome che è strettamente legato al cibo, e che, nel tempo, si è sovrapposto al cognome anagrafico. Beccafico, Mangiapatate, Vinella, Scorticatopo, Rubafagioli.

Quando il panico si impossessa clinicamente della folla, lo insegna Freud, e nessuno è in grado di tenere un posto in cabina di comando, la gente abbandona anni ed anni di corsa a gadget tecnologici o oggetti superflui assurti a strumenti fondamentali, per tornare all’atavico terrore della pancia vuota.

Anche stamattina, in coda, le parola (gridate) erano appunto: caffè, pasta, carne.

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Grazie al Coronavirus lo abbiamo capito: siamo esserini piccoli piccoli pieni di paura

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