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WhatsApp, le chat di gruppo per segnalare posti di blocco non sono illegali

Il giudice per le indagini preliminari ha stabilito che aver creato una chat di gruppo su WhatsApp per segnalare, ed eludere, posti di blocco istituiti da forze dell'ordine, non può essere considerato reato, in quanto non violerebbe l’articolo del Codice Penale riguardante l’interruzione di pubblico servizio.
WhatsApp, le chat di gruppo per segnalare posti di blocco non sono illegali
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Creare gruppi WhatsApp in cui effettuare segnalazioni di posti di blocco istituiti localmente dalle forze dell’ordine, al fine di eluderne i controlli, non può essere considerato un reato. A stabilirlo è stata Luisa Vanzino, giudice per le indagini preliminari che ha condotto l’inchiesta su 49 ragazzi della Valle Scrivia, in Liguria, indagati proprio per aver creato una chat di gruppo su WhatsApp, con oltre 100 partecipanti, con lo scopo di evitare multe o sospensioni delle patenti.

Si tratta di una conclusione destinata a far discutere, perché fino a ieri per la giurisprudenza corrente, creare gruppi “solidali” con lo scopo di diffondere informazioni sulla presenza di controlli da parte delle Forze dell’Ordine era considerato illegale, in quanto contravverrebbe al principio di divieto di turbamento o interruzione di pubblico servizio, come stabilito dall’articolo 340 del Codice Penale.

Secondo il GIP però in questo caso non si ha alcuna interruzione o turbamento del pubblico servizio svolto dalla Polizia, in forza di due elementi: il carattere chiuso e privato della chat e delle relative conversazioni e l’esiguo numero di partecipanti rispetto al numero di utenti della strada. Sempre in virtù della natura privata della chat, inoltre, il GIP non ha considerato come vilipendio alle Forze dell’Ordine, le ingiurie che spesso nel gruppo accompagnavano le segnalazioni.

L’inchiesta è stata dunque archiviata, ma poco tempo fa 62 persone di Canicattì, in Sicilia, sono state denunciate proprio per aver commesso lo stesso illecito. Insomma, come spesso accade, la vicenda evidenzia ancora una volta l’assenza di un quadro normativo chiaro in cui si definiscano in maniera univoca gli usi leciti e illeciti delle nuove tecnologie.

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