Giorgia Meloni è il politico italiano più sottovalutato. Continua a essere trattata come una mascotte, anche se Fratelli d’Italia è ormai arrivato al 10 per cento. Ha un programma di estrema destra ma viene percepita come una concreta, pragmatica amministratrice del territorio, anche se nella sua carriera non ci sono esperienze di governo (con l’eccezione trascurabile del ministero della Gioventù ai tempi di Berlusconi). Ma Giorgia Meloni punta al governo e, da qualche tempo, ha iniziato a parlare di politica economica. Nessuno prende sul serio le sue analisi e proposte. Ho deciso di riempire questo vuoto, qualcuno doveva pur farlo.

Partiamo da questa agenzia Ansa del 2 dicembre: “Se fossimo costretti a ristrutturare il debito salterebbero le banche italiane, che detengono il 70 per cento del debito”. Lo ha detto parlando del Mes la leader Fdi Giorgia Meloni a Quarta Repubblica che andrà in onda stasera su Rete 4. “L’Unione bancaria converrebbe a noi, alle nostre banche: a che punto è?”, si e’ chiesta la deputata parlando delle possibili trattative per rivedere il Mes.

Singolare linea di ragionamento: se fallisce la Repubblica italiana, con tutto il rispetto per Unicredit e Intesa, la salute delle banche mi sembra il problema minore. Ma la Meloni sembra pensare il contrario: il default dello Stato è un problema bancario, non una catastrofe per cittadini, imprese e pubblica amministrazione. Anche il numero citato pare un po’ a caso. Sulla base dei dati della Banca d’Italia, ad agosto 2019 il debito pubblico in mano a istituzioni finanziarie residenti era il 46,6 per cento (1.148.129 miliardi su 2.462.623).

Curioso il passaggio sull’Unione bancaria: uno degli argomenti sovranisti contro la riforma del Meccanismo europeo di stabilità, il Fondo salva Stati, è che l’unione bancaria abbinata alla revisione del Mes ora serve ai tedeschi per far pagare a noi italiani l’imminente salvataggio pubblico delle sue banche decotte (di certo non se la passano bene, ma le profezie sul collasso di Deutsche Bank si ripetono da dieci anni). La Meloni pare invece suggerire che siano le nostre banche, non quelle tedesche, ad aver bisogno di interventi di sostegno.

Un’altra “melonata” notevole arriva dalla stessa comparsata televisiva. Sempre la sintesi dell’Ansa, 2 dicembre: “Togliere la concessione ad Autostrade? Secondo me così com’è va rivista. Sono favorevole alla gestione privata di infrastrutture strategiche, purché restino di proprietà dello Stato. Ora le concessioni sono una miniera d’oro per gente che sta seduta e non fa nulla”. Lo ha detto la leader Fdi Giorgia Meloni a Quarta Repubblica su Rete 4, parlando di Autostrade.

La Meloni è favorevole alla gestione private di infrastrutture strategiche purché ”restino di proprietà dello Stato”. Bella scoperta: è il meccanismo delle concessioni che sperimentiamo in Italia almeno dagli anni Novanta. Ma la Meloni, donna concreta che sa quello che vuole, avverte: “Ora le concessioni sono una miniera d’oro per gente che sta seduta e non fa nulla”. E quindi? Non ha appena detto che è favorevole a questo modello purché la proprietà resti dello Stato? Per inciso: non esistono concessioni in cui la proprietà passa al concessionario. E’ la differenza tra concessione e privatizzazione. Ma la Meloni pare avere idee confuse e memoria corta. Il più grande favore ai Benetton arriva con il decreto, appunto, salva-Benetton, il 29 maggio 2008. Chi faceva parte di quel governo? Giorgia Meloni.

Ultima melonata economica, per oggi. 29 novembre, sempre agenzia Ansa, la Meloni parla di Alitalia: “Il problema non è nazionalizzare sì o no, ma nazionalizzare per fare che cosa?”. Così Giorgia Meloni, parlando con i giornalisti alla Conferenza di Fdi della Campania. “Se non partiamo da una riforma seria del trasporto in Italia – ha aggiunto la leader di Fdi – degli aeroporti, e quindi del vettore nazionale, il problema non si risolve”. “L’Italia è l’unica nazione che assegna alle compagnie low cost gli aeroporti internazionali, invece che assegnare loro aeroporti secondari. Se hai un vettore nazionale, la strategia competitive di quel vettore punta sugli aeroporti. In Italia, invece, questo non è mai stato fatto”, ha concluso.

Ma che vuol dire? Se la nazionalizzazione è l’ultima domanda da porsi, qual è la prima? Una grande riforma del trasporto aeroportuale, per penalizzare le compagnie low cost? Come se fossero concorrenti dirette di Alitalia che può fare profitti soltanto sul lungo raggio, non certo sulle tratte brevi. Forse la Meloni pensa che il futuro di Alitalia sia sulle tratte tra Roma, Catania, Lamezia Terme e Trieste? Auguri.

Anche se domani mattina RyanAir smettesse di volare, Alitalia continuerebbe a perdere milioni di euro ogni giorno, con il governo attuale che rinvia ancora il problema con l’ennesimo prestito ponte (ponte verso il vuoto, visto che i soldi non torneranno mai indietro): altri 400 milioni, dopo i 900 milioni dati alla gestione commissariale e mai restituiti. Nella migliore tradizione dei politici italiani e romani nello specifico, dunque sensibili ai voti dell’indotto Alitalia, la strategia della Meloni è semplice: rinviare il problema in modo da garantire benefici privati e costi a carico dello Stato.

Certo, tutto questo non sarebbe mai successo se nel 2008 Silvio Berlusconi e il suo governo non avessero fatto saltare l’operazione tra Alitalia e Air France. E chi c’era al governo all’epoca? Ovviamente Giorgia Meloni.

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