Due episodi hanno caratterizzato la vita parlamentare italiana nell’ultima settimana: una rissa e una proposta di matrimonio. Entrambi singolari, il secondo più del primo per la verità, entrambi inquietanti.

Al di là delle preoccupazioni per la dignità del parlamento messa a dura prova e ancor più comprensibili per la presenza, nella prima occasione, sulle tribune di due scolaresche, mi pare interessante cercare di capire il senso delle due iniziative partite dai banchi della Lega. Che cosa ci ha voluto dire quello che oggi sarebbe il primo partito in Italia con queste sue iniziative parlamentari?

La rissa, scatenata attorno all’intervento del deputato Pd De Luca sul Mes, e in cui si è distinto l’onorevole Tiramani, “nomen omen”, non è certo inconsueta, l’abbiamo già vista in altri momenti della storia anche recente. Ma in questo particolare contesto politico assume un preciso significato. Ci dice che in un momento di incertezza politica, di divisioni, di ripensamenti, di dubbi che attanagliano i partiti e bloccano le loro decisioni, possiamo contare un gruppo di uomini (e qualche donna) che affronta i problemi di petto, senza badare troppo per il sottile, deciso a tutto, anche a menar le mani per ottenere ciò che ritiene giusto. Un gruppo di arditi, no fascisti no per carità, altrimenti Salvini ci dice che siamo rimasti al secolo scorso, ma arditi, battaglieri, virili. Mica come quelle pappe molli delle sardine che si battono per le buone maniere, la discussione rispettosa e un linguaggio consono e, in nome di queste richieste, scendono in piazza e rubano la scena al popolo sovranista.

Inedito e per questo ancor più significativo è il secondo episodio, quello della proposta di matrimonio con tanto di esibizione dell’anello – immagino assai prezioso – fatta dall’onorevole Flavio Di Muro alla sua Elisa presente in tribuna, tra gli applausi dei colleghi di partito e un pacato rimbrotto del presidente della Camera (troppo gentile il presidente, bisognava cacciarlo fuori). Significativo in quanto ci rivela i veri sentimenti che albergano nell’animo profondo e nascosto di questa nuova classe dirigente che amministra città e regioni e vorrebbe governare il paese.

Una classe dirigente di parvenu, che dal nulla, senza aver studiato né aver maturato altri meriti, si è trovata improvvisamente ai vertici e non sta più nella pelle per questa inattesa fortuna. E ce lo vuole sbattere in faccia, ricordandoci come dice una canzone molto popolare presso i leghisti che ormai “questa è casa mia e qui comando io”. La casa in questione è nientemeno che il parlamento.

Questo è il vero senso di quell’esibizione: l’affermazione del proprio status. Il resto, le fandonie sull’amore e la tenerezza, sul recupero di una dimensione personale assediata dai gravosi impegni della vita politica sono balle. Così come sono balle le preoccupazioni per i terremotati di Amatrice o i bambini di Bibbiano. Il vero obbiettivo per il quale questi personaggi si sono impegnati in politica è ben altro: riuscire, un bel giorno, a far colpo sulla fidanzata.

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