In questo fine settimana il Partito democratico si riunisce a Bologna per cambiare radicalmente e dare il segnale forte di un reset rispetto al recente passato. Non ho vissuto la Bolognina perché sono nato qualche anno più tardi. Ma ho ascoltato e chiesto a chi l’ha vissuta cosa potesse significare il gesto storico di Achille Occhetto, mentre cadeva il Muro che aveva diviso l’Europa. Trent’anni dopo ci ritroviamo a Bologna; in un mondo però in cui i muri tornano a essere rialzati e il vento della destra a soffiare forte, quasi a voler preannunciare una bufera.

Ecco, il segretario Nicola Zingaretti imiti la carica del gesto storico di Achille Occhetto! C’è bisogno di stupire il Paese reale, quello che ogni mattina si sveglia per lavorare e studiare con le proprie forze, senza pretendere nulla da nessuno o ringraziare santi in paradiso. È quel Paese che ha fame di sinistra, che non usa tanti tecnicismi e grida sanità, istruzione, un posto di lavoro e una pensione dignitosi, sicurezza.

Raccontare che questa cosa che continuiamo a chiamare sinistra deve essere rottamata, non vuol dire “tutti a casa”. Vuole dire a coloro che probabilmente non potranno essere a Bologna – perché con i soldi del viaggio preferiscono fare la spesa per mangiare – “questa è la vostra casa”. Quella del mondo che lavora, dei “senza potere”. Di coloro che non vengono ascoltati da nessuno e che per gridare un proprio disagio scrivono un post su un social, credendo che è lì la democrazia e non nei partiti. Avete presente i grandi colossi, Donald Trump? Ecco, il contrario.

Gianni Cuperlo, un bel po’ di tempo fa, mi consigliò un libro di Toni Judt, Guasto è il mondo – “dove la ricchezza si accumula e gli uomini vanno in rovina”. L’antidoto? Lo Stato Sociale, la democrazia militante. E così tanti altri pensatori socialisti, come Luciano Gallino sul lavoro. Questo non è una merce e della critica alla flessibilità fa la sua cifra, poiché invita le persone che offrono la propria forza lavoro a mobilitarsi per difendere lo Stato sociale, a trasformare questa spinta in una domanda politica.

Sono solo alcuni dei pensatori che stanno dando alla sinistra un volto nuovo, non nostalgico. Si deve partire dal tipo di società che vogliamo. Appunto, che vogliamo e per cui dobbiamo lottare in maniera radicale, senza annacquare e traccheggiare: dovremmo essere rossi e non rosé. Nel conflitto la sinistra ci deve stare e lo deve promuovere, stando con il più debole. Mai più un dirigente o tale della sinistra (o che si reputa di sinistra) deve urlare contro i milioni di disoccupati, dicendo che lo siano per loro colpa e non per “merito”.

Avere il coraggio della chiarezza significa dire che le teorie liberiste hanno fallito e che coloro che a sinistra le propinano possono tranquillamente andare verso altri lidi. Perché la società si scolla e si imbruttisce senza welfare state, dando il la per la formazione dei ghetti degli anni 20 del duemila e lo sfondamento a destra. Perché se in passato il precario guadagnava tanto, ma non aveva la sicurezza, e il dipendente guadagnava di meno, ma aveva più sicurezze, oggi invece abbiamo creato il peggio del peggio per seguire la flessibilità. Zero guadagni e zero sicurezza. In tutto questo la democrazia cosa fa? E i partiti? E attenzione, perché la tecnologia corre veloce.

È necessario, infine, avere un partito. Non un partitino in cui si piantano alberi ma un Partito pensato e strutturato secondo l’articolo 49 della Costituzione, in cui con metodo democratico si determina la politica nazionale. In cui ci si iscrive, in cui si conta. E se i dirigenti falliscono vanno a casa, punto. Un partito che è dappertutto e di cui l’elettore sente la presenza non solo in campagna elettorale.

E questo ce lo dobbiamo dire fino in fondo: le sconfitte non sono uno scalino sceso male, ma vengono da lontano. In molte parti del Paese l’avanzata della destra ha anche a che fare con la selezione della classe dirigente, nonostante si sia governato in maniera accettabile. Da circa trent’anni abbiamo assistito alla guerra interna tra dirigenti locali per assicurarsi la successione e la guida del partito.

Sempre più chiusi nei palazzi, parlando un linguaggio non comprensibile ai giovani e a chi era fuori. Questo ha prodotto delle sacche di malcontento, soprattutto perché quei dirigenti, che nel frattempo si facevano la lotta, anziché essere “dirigenti politici” volevano essere amministratori per costruirsi un consenso attraverso la gestione. Peccato però che il giochino si è rotto, alimentando un sistema bloccato e avvitato su se stesso.

Allora serve un gesto di coraggio che parta da Bologna e che ponga il tema della ricostruzione. Che ribalti ciò che è. Il paradiso non è un posto da cercare fuori. Ma lo trovi dentro quando senti per un momento nella tua vita di far parte di qualcosa. Ecco, da Bologna abbiamo il dovere di restituire un sogno: questa è la cosa giusta negli anni 20 del duemila.

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