Devo essermi perso la parte in cui è scritto che la legge è uguale per tutti tranne per le multinazionali che possono godere un po’ meno di responsabilità penale in caso di reati ambientali. Così come devo essermi perso pure la parte in cui la legge è uguale per tutti tranne per le multinazionali che possono ricattare i governi minacciando di far scoppiare una bomba occupazionale.

Chi pensa che qui sia in ballo soltanto un’eccezione alla regola, la previsione di uno scudo penale, si sbaglia; chi pensa che si tratti solo di una querelle tra ArcelorMittal e il governo non ha capito la questione politica di fondo. Concedere a una multinazionale che ricatta con la leva del lavoro o della produzione un’eccezione alla regola significa smontare un altro pezzo del diritto che regge una comunità. E’ la continua sfida che ci impone il neoliberismo: da una parte l’anomia della globalizzazione, dall’altra l’armonia della Costituzione.

E’ questo il tema di cui si parla: vogliamo cedere a una multinazionale il diritto di vincere contro il diritto nazionale? Vogliamo che il neoliberismo sfregi un altro pezzo della sovranità nazionale? Questo è il momento di buttare giù le carte!

E qui arrivo ad un altro punto dolente. Non mi aspettavo onestamente la difesa delle arroganti ragioni di una multinazionale da parte di chi si professa sovranista, di chi ancora oggi usa lo slogan “Padroni a casa nostra” consentendo all’unico padrone della partita di comandare in casa degli italiani. Dov’è la difesa della sovranità del popolo? Qui in ballo c’è ancora la stessa sfida lanciata da campioni globali al popolo sovrano: tu, caro popolo, devi sottostare al ricatto della multinazionale. E allora: quale mano scrive le regole? La mano di un altro straniero che viene con piglio predatorio! Altro che sovranismo! Altro che “Prima gli italiani” e/o “Padroni a casa nostra”.

ArcelorMittal non è un salvatore della patria, è un imprenditore con la carta d’identità neoliberista, è il player di una globalizzazione dove si rispetta solo la regola “a brigante, brigante e mezzo”. Ad ArcelorMittal diciamo – ricordandolo a noi stessi – che nessun imprenditore può pensare di passare sopra le regole che una comunità si è data per vivere nell’equilibrio dei diritti e dei doveri. Se muoiono cinque lavoratori nell’ex Ilva negli ultimi tre anni, significa che di fatto qualcuno pensa che si possano derogare le regole minime di sicurezza perché il mio signore feudale rappresenta una forza superiore alle leggi.

Chi contesta che l’eliminazione dello scudo rappresenti un alibi per andarsene si mette sulla stessa scia di chi pensava che con la precarizzazione del lavoro avremmo messo gli imprenditori nella condizione di assumere. E così siamo scivolati nella progressiva consunzione delle regole minime, perché a chi si comporta da padrone le eccezioni non bastano mai!

Per questo chiedo di riflettere bene su quest’altro ricatto, che poi è sempre lo stesso. Il lavoro presuppone il rispetto. Se la globalizzazione è terra di pirati, uno Stato serio si difende e lancia una seria sfida italiana, con i campioni della siderurgia italiana (che ci sono ancora) con la garanzia di capitale pubblico che dia una prospettiva industriale non impattante né sull’ambiente né sulla salute dei lavoratori e dei cittadini.

Una siderurgia ecosostenibile è possibile. Lo diciamo anche a quell’Europa nel cui genoma c’è la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. Il carbone lo possiamo superare, l’acciaio no. Lo possiamo lavorare in condizioni migliori di quelle che cattivi imprenditori vorrebbero imporre.

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