La manovra economica è un ginepraio. L’occasione di scontro politico, anche nella maggioranza di governo. Uno dei casi? Il fondo da 20 milioni per la lettura dei giornali a scuola, proposto dal sottosegretario all’Editoria Andrea Martella e sostenuto dal ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini. Ferocemente avversato dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio. “Per noi è inaccettabile. Questa è una forma surrettizia di aiuto di Stato… I giornali si affidassero al mercato”, ha spiegato il leader 5Stelle. Che, per chiarire meglio la sua posizione, eliminando l’equivoco che potesse trattarsi di una questione di risorse, ha aggiunto: “I giornali non vanno diffusi nelle scuole. Se vogliono, se li comprano. E poi che fanno, li leggono in classe?”.

Tutto vero! Di Maio quelle parole le ha pronunciate veramente! Nonostante, oltre ad essere un ministro della Repubblica, sia anche un pubblicista. Insomma un giornalista. Proprio per questo dovrebbe essere un fautore della possibilità che l’informazione si ramifichi. Raggiungendo i più giovani. Perché è lì, nelle classi della secondaria di primo e di secondo grado, che più che altrove i quotidiani devono essere portati. Tra i ragazzi, a scuola.

Il progetto de “Il Quotidiano in classe” nasce nel settembre 2000, per merito dell’Osservatorio permanente giovani editori. L’idea-motore dell’iniziativa quella di “fare dei giovani di oggi i cittadini liberi di domani, per renderli più complessivamente dei cittadini più liberi”. Come si legge sul portale dell’Osservatorio “per aprire gli occhi dei giovani sul mondo, per incuriosirli ai fatti che accadono intorno a loro e per conquistarli alla passione civile e al cambiamento”.

Una volta alla settimana e per l’intero anno scolastico, in un giorno scelto da ciascun docente, più copie di tre diverse testate a confronto, in versione digitale o cartacea. Un’ora a settimana per tentare di allargare gli interessi e gli orizzonti di tanti studenti. Uno dei progetti più utili, tra i molti forse troppi, che la scuola offre senza scelta ai ragazzi. Un’occasione unica, nonostante le possibilità che hanno a loro disposizione, per aprirsi all’informazione. Per confrontare opinioni anche contrastanti su singoli accadimenti. Per coltivare il loro spirito critico. Insomma per farsi un’idea. Propria.

“Né papà né mamma portano il giornale a casa”, raccontano molti ragazzi, soprattutto delle medie. Che la rete la utilizzano, ma non per sapere cosa accade, intorno a loro. “Il Tg? Qualche volta”, dichiarano, quasi infastiditi. Evidentemente non abituati, in primis a casa, a leggere un quotidiano. Ad ascoltare un notiziario. Naturalmente impermeabili alle informazioni.

Quindi, quanto questa esperienza di un’ora settimanale, dilatata sull’intero anno scolastico, sia fondamentale per la crescita dei ragazzi lo hanno verificato in molti. Tra gli attori, coinvolti in varia misura. Professori, innanzitutto. Ma anche genitori. Non sembra averla colta Luigi Di Maio. Che con la stampa ha una manifesta avversione, da sempre. “I giornali dei ‘prenditori editori’ ormai ogni giorno inquinano il dibattito pubblico e la cosa peggiore è che lo fanno grazie anche ai soldi della collettività: in legge di bilancio porteremo il taglio dei contributi pubblici indiretti e stiamo approntando la lettera alle società partecipate dallo Stato per chiedere di smetterla di pagare i giornali”, dichiarava a settembre del 2018.

La colpa, ripete Di Maio, è quella che “i giornali ci attaccano”. Circostanza impossibile da accettare per il leader del movimento che teorizza la condivisione delle scelte con la base degli elettori. La soluzione? Ovvio! Via i giornali dalla scuola. “Se vogliono se li comprano. E poi che fanno: li leggono in classe?”, dice Di Maio. Che non vuole che si faciliti l’informazione nelle classi, ma sostiene da sempre la proposta del voto ai sedicenni. Da settembre sostenuta anche dal Pd.

“I giovani in Italia vengono definiti, a seconda del momento, choosy, viziati, ‘gretini’: per noi questi giovani vanno soprattutto rispettati, ascoltati e messi al centro della nostra politica. I giovani sono una risorsa preziosa e sono il futuro di un’Italia che si informa, che partecipa e che deve essere valorizzata sempre di più”. Parole di Di Maio. Il ministro che non vuole i giornali in classe.

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