E, adesso, fin quando ce li teniamo? Parevano, finalmente, sul punto di andarsene, i britannici, dopo 40 mesi di cincischiamenti, due premier bruciati e i Comuni a bocciare tutti gli accordi proposti; e, ora, sono di nuovo incartati, con un terzo premier – il peggiore della serie – che traballa. Brexit, l’incompiuta.

Intendiamoci, hanno fatto tutto da soli: hanno votato per la Brexit al referendum; hanno ritardato quasi di un anno l’avvio della procedura per uscire dall’Ue; hanno fatto accordi che hanno sempre respinto; hanno fissato scadenze, che non hanno mai rispettato, e chiesto rinvii, che non sono mai bastati.

Noi, gli europei del Continente, quelli che siamo nell’Ue e magari ci dimeniamo dentro un po’, ma non vogliamo uscirne, non abbiamo né meriti né demeriti, in tutta ‘sta faccenda: abbiamo accettato la loro decisione di andarsene, siamo stati ai loro tempi, abbiamo fatto accordi ed eravamo sempre pronti ad onorarli, adesso non ci opporremo – se sarà il caso – all’ennesimo slittamento; il tutto, magari, dissimulando un sorrisino d’ironia, memori della boria d’Albione, “Ma guardali!, non sanno stare e non sanno andare”. Noi, invece, almeno in questa storia, siamo sempre stati uniti e compatti (è però vero che loro rischiano, economicamente, fino a dieci volte di più).

Che cosa possa ancora succedere adesso, non è chiaro. L’ultima settimana è stata vertiginosa (e inconcludente): giovedì 17, l’intesa in extremis con i 27 a Bruxelles, dopo l’ennesimo rinegoziato; sabato 19, i Comuni convocati nel fine settimana per la prima volta dal 1982, quando c’era la guerra delle Falklands, s’inventano un cavillo procedurale e non avallano l’intesa; nella notte tra sabato e domenica, Boris Johnson, il premier che vuole assolutamente uscire il 31 ottobre, chiede un rinvio all’Ue, dicendo, però, che non lo vuole; lunedì 21, non succede nulla; martedì 22, i Comuni prima illudono Johnson con un voto favorevole – 329 sì, 299 no, la prima vittoria parlamentare in assoluto per BoJo -, poi si rifiutano di esaminare in pochi giorni tutte le leggi che sono necessarie per attuare l’accordo con Bruxelles – 322 no, 308 sì -.

Lo stop alla mozione del governo per chiudere in fretta il processo di ratifica dell’intesa sulla Brexit fa di fatto svanire l’obiettivo di un’uscita concordata del Regno dall’Ue il 31 ottobre ed apre le porte a possibili elezioni anticipate. Risultato: l’uscita dall’Ue slitta a dopo la consultazione politica, sempre che, dalle urne, non escano nuovi equilibri e nuove prospettive.

Johnson incassa, annuncia “una pausa” e attende che Bruxelles decida se concedere una proroga o meno, senza negoziarla. “Comunque usciremo dall’Ue e usciremo con questo accordo”, assicura – ma abbaia alla Luna. La Commissione europea, a sua volta, “aspetta del governo britannico informazioni sui prossimi passi”.

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