L’Imu per le piattaforme petrolifere offshore inserita nell’ultima bozza del Decreto fiscale è un cambio di rotta, a prima vista. Perché stabilisce una volta per tutte che i giganti dell’oil&gas devono pagare, come affermato dalla Cassazione, e ribalta quanto stabilito in precedenza sia dall’Agenzia delle Entrate sia dal dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia. Ma i conti per i Comuni non tornano affatto. Stando alla relazione tecnica, le amministrazioni locali che negli ultimi anni hanno chiesto alle compagnie di versare centinaia di milioni incasseranno neppure due milioni l’anno. E i proventi complessivi per lo Stato si fermeranno a 6 milioni. E’ l’effetto di uno sconto dell’80% sul valore contabile al quale si applica l’imposta. Il senatore M5s Gianluca Castaldi, interpellato da ilfattoquotidiano.it, parla comunque di “passo importante, perché è ora che le compagnie inizino a pagare. Intanto diamo una norma, considerando che certi interessi non li ha mai toccati nessuno. Con questo governo speriamo sia più facile fare dei passi in avanti. Anche se possono sembrarle piccoli”. Nel frattempo, fanno notare gli ambientalisti, mancano ancora i decreti attuativi necessari per tradurre in pratica laumento dei canoni di coltivazione e stoccaggio degli idrocarburi previsto dal decreto Semplificazioni approvato lo scorso gennaio.

VALORE CONTABILE RIDOTTO AL 20% – L’articolo 37 della bozza del Decreto fiscale dispone che dal 2020 saranno assoggettate all’Imu anche le piattaforme marine. Un allineamento alla sentenza della Cassazione, che il 24 febbraio 2016 aveva stabilito che le piattaforme petrolifere fossero assoggettabili all’imposta comunale sugli immobili “nonostante la loro allocazione nel mare territoriale”. Con quel verdetto i giudici avevano dato ragione al Comune di Pineto che aveva chiesto all’Eni 33 milioni di Ici, più sanzioni e interessi. Dopo un contenzioso quasi ventennale, nel 2017 si è arrivati a un accordo da 8 milioni di euro. Solo per quella vicenda. Ma il particolare criterio previsto dal Decreto fa sì che gli introiti previsti siano molto inferiori.

Intanto si prevede che la tassazione sarà effettuata sulla base dei soli valori contabili, applicando l’articolo 5, comma 3, del decreto legislativo 504 del 1992, che determina i criteri di valorizzazione di alcune tipologie di fabbricati, fra cui quelli “costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività industriale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni”, ma anche gli “edifici galleggianti o sospesi assicurati a punti fissi del suolo”. L’articolo 37 dispone, inoltre, la riduzione al 20 per cento di detti valori “in ragione della particolarità degli immobili di cui si tratta – si legge nella relazione illustrativa – al fine di considerare gli stessi effetti della tassazione che si realizzano per analoghi manufatti siti sulla terraferma”.

I CONTI DEL GOVERNO E IL NODO DEL CATASTO – Sempre nella relazione si sottolinea anche come la soluzione prospettata comporti una sostanziale semplificazione nella determinazione della base imponibile. Secondo le norme vigenti che regolano il sistema catastale, si spiega, le piattaforme in questione “non sono oggetto di inventariazione negli atti del Catasto”, in quanto l’organo cartografico dello Stato designato al rilievo sistematico dei mari italiani è l’Istituto idrografico della Marina e non l’Amministrazione del catasto e dei servizi tecnici erariali. Un problema, quello del calcolo dell’Imu per le piattaforme, già sottolineato sia dalla Cassazione che dalla risoluzione firmata dal direttore generale delle Finanze del ministero dell’Economia. Il decreto dispone ora che venga calcolata applicando l’aliquota pari al 10,6 per mille, di cui la quota di imposta risultante dall’applicazione dell’aliquota del 7,6 per mille è riservata allo Stato mentre il gettito derivante dall’applicazione dell’aliquota pari al 3 per mille è destinato ai comuni che hanno impianti al largo delle loro coste. Questi ultimi dovranno essere individuati con un successivo decreto del Ministro dell’economia di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro dello sviluppo, da emanarsi d’intesa con la Conferenza Stato-Città entro 180 giorni.

I CONTI DEI COMUNI – Sulla base delle informazioni acquisite dal Mise, relative alla sola superficie delle piattaforme petrolifere interessate dalla misura e considerando la riduzione forfetaria al 20% dei valori contabili, il governo stima una base imponibile potenziale di circa 570 milioni di euro. “Applicando l’aliquota prevista del 10,6 per mille – si spiega nella relazione tecnica – si determina un maggior gettito Imu su base annua di circa 6 milioni di euro, di cui 4,3 milioni di euro quota Stato e 1,7 milioni quota comune”. Siamo su cifre lontane rispetto a quelle richieste dai comuni. Quello di Pineto aveva mandato all’Eni avvisi di accertamento per gli anni dal 1993 al 1998 del valore di quasi 14 milioni di euro a titolo di maggior imposta, di poco più di 14 milioni di euro a titolo di sanzioni per omesso versamento di omessa dichiarazione, e poco meno di cinque milioni di euro per interessi. Dopo la sentenza della Suprema Corte, che aveva dato ragione all’amministrazione comunale, erano scattati i ricorsi di Termoli, Porto Sant’Elpidio, Cupra Marittima e Gela. Nove i comuni tra la costa adriatica e la Sicilia che hanno chiesto il pagamento prima dell’Ici e poi dell’Imu sulle piattaforme petrolifere. Ma sono molti di più i comuni interessati, per circa 120 piattaforme, senza considerare quelle di supporto e altre otto non operative, per un gettito complessivo che si stimava tra i 100 e i 200 milioni di euro all’anno (arretrati a parte).

IL SINDACO DI PINETO – Cosa ne pensano i comuni del nuovo calcolo dell’Imu imponibile? Ilfattoquotidiano.it lo ha chiesto al primo cittadino di Pineto, Robert Verrocchio. “La Cassazione che ci ha dato ragione – dice – non solo ha stabilito che le piattaforme debbano pagare l’Imu, ma ha anche sancito il principio per cui l’imponibile si calcola su base contabile. E allora i conti non tornano”. C’è quella riduzione al 20 per cento dei valori contabili. “Da un lato ci sembra che la direzione del testo sia giusta, perché si ribadisce che le compagnie petrolifere debbano pagare ma dall’altro viene fornita una metodologia di calcolo che non può che portare a un gettito molto inferiore. Penso al peso che queste cifre possano avere per colossi come l’Eni e credo si parli di somme davvero irrisorie”.

LE PERPLESSITÀ DEGLI AMBIENTALISTI – Altre perplessità sono invece manifestate dagli ambientalisti. “Considerando le superfici delle piattaforme, credo che stiamo parlando di cifre davvero irrisorie”, commenta Andrea Minutolo, coordinatore dell’ufficio scientifico di Legambiente, secondo cui non è questa la strada per far pagare alle compagnie quanto dovuto, ma neppure per fare cassa. “Le compagnie pagano già le concessioni per le varie fasi, dalla ricerca all’estrazione di idrocarburi – continua – molto meglio sarebbe stato aumentare i canoni”. Misura prevista dall’accordo trovato a gennaio 2019 in seno all’ex maggioranza sull’emendamento al dl Semplificazioni, che prevedeva (oltre allo stop alle ricerche di idrocarburi per 18 mesi) anche l’aumento di 25 volte dei canoni annuali di coltivazione e stoccaggio degli idrocarburi per tutte le compagnie petrolifere. “Dallo scorso giugno sarebbe dovuta scattare la rivalutazione del canone – continua – ma questo non è avvenuto nel concreto perché mancano i decreti attuativi”. Risultato: le compagnie pagano esattamente come due anni fa. “Come No Triv chiediamo da tempo una completa revisione della fiscalità riguardante il settore delle energie fossili, a partire dalla introduzione della Carbon Tax prevista nella Strategia energetica nazionale 2013 e di cui si sono perse le tracce”, è il commento di Enrico Gagliano, del coordinamento nazionale No Triv. “Non vorremmo assistere – aggiunge – alla solita litania delle compagnie Oil&Gas, di Nomisma Energia e di Assomineraria che, confondendo le royalties con le imposte, lamentano da sempre l’eccessivo carico fiscale che graverebbe sulle imprese estrattive”.

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