Ieri erano cinque residenti asilo e un rifugiato, oggi sono un tecnico del suono e uno della luce, un attore, un organizzatore, un costumista e un trainer. Sei migranti, arrivati via mare insieme a centinaia di altre persone dall’Africa, sono diventati parte di una compagnia teatrale che lavora in tutta Italia. Un vero e proprio lavoro cominciato con un semplice invito a teatro. Tutto è iniziato infatti con alcuni biglietti per uno spettacolo della stagione del Biondo, stabile di Palermo, donati da alcuni ragazzi a centri accoglienza e a scuole di italiano per stranieri della città.

Pochi, pochissimi hanno scelto di andare: d’altra parte è molto difficile assistere a una messa in scena in una lingua che conoscevano pochissimo. Soprattutto per chi è appena arrivato in Italia senza nulla. Così non è stato per Ibrahima Deme, Mbemba Camara, Moussa Sangaré, Souleymane Bah, Moussa Koulibaly e Bassi Dembele che hanno raccolto l’invito dei ragazzi della compagnia teatrale Blitz, fondata da Margherita Ortolani e Vito Bartucca. E dopo alcuni di spettacoli da spettatori hanno deciso di alzarsi dalla platea e provare a salire sul palco. Da quel momento sono stati avviati dei laboratori di affiancamento per migliorare le capacità di Souleymane, che in Africa faceva il sarto, o di Moussa che faceva invece l’idraulico: oggi uno è costumista e l’altro è tecnico del suono e fanno parte della compagnia Blitz, fondata da quei ragazzi che due anni fa lasciavano, con poche speranze, i biglietti nelle portinerie degli sprar e delle scuole di italiano.

“Non abbiamo lavorato con questi ragazzi perché sono migranti ma perché sono portatori sani di potenzialità e di valori unici e imprescindibili. È questo il primo muro culturale da abbattere. È anche vero che il lavoro è stato durissimo e i ragazzi hanno lavorato nonostante le difficoltà che la condizione di migrante implica: il non vedersi riconosciuti, il non avere un’autentica possibilità di riposo, una casa nella quale tornare. La loro identità è continuamente messa in discussione da uno status che si ostina a mantenerli invisibili”, racconta Margherita Ortolani. Il risultato finale è uno spettacolo che debutterà a Palermo alla fine di ottobre e che già è stato acquistato da un teatro del nord Italia: “Chiamatemi Mohamed Alì” del drammaturgo congolese Dieudonné Niangoun. La leggenda di Cassius Clay (interpretato da Ibrahima Deme) è stata anche denuncia alla discriminazione e impone una riflessione sul senso della memoria e sull’identità culturale di un intero Paese che grazie al teatro si riconcilia con il presente.

di Eugenia Nicolosi

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