Ogni tanto mi piace ricordare che esistono donne talmente forti e piene di vita che non hanno paura di essere quello che sono. Queste donne hanno una luce speciale, un’aura di eterna bellezza che impedisce loro di essere dimenticate. Al di là della carne, gli uomini bramano la loro anima.

Era il 15 settembre 1994 quando, in un ospedale di Lione, morì Moana Pozzi. Sono passati 25 anni e la sua morte è tuttora avvolta da un mistero quasi favolistico. C’è chi sostiene che in realtà sia viva e vegeta e si nasconda chissà dove, che abbia deciso di inscenare la sua morte per poter vivere in pace lontana da tutto e tutti; o c’è chi attribuisce la sua morte all’Aids, cosa più volte smentita da tutti coloro che la conoscevano da vicino. Ufficialmente la causa della morte fu un cancro al fegato, sviluppatosi a causa di una probabile epatite C.

Ma se da un lato tanti sono gli interrogativi sulla sua morte, dall’altro lato si è consapevoli di quanto il suo stile di vita abbia condizionato non poco la cultura italiana tra gli anni 80 e 90. Moana la puttana, Moana la ragazza intelligente, Moana la peccatrice, Moana la donna fatale, Moana l’indecente, Moana la donna istruita, Moana il fenomeno di costume, Moana la ribelle.

Una cosa è certa: Moana Pozzi non era solamente una pornostar, era un simbolo. Il simbolo di uno sfrenato, sfacciato e dirompente rifiuto di tutte quelle regole e costrizioni che volevano e vogliono tuttora la donna o santa o puttana, secondo un radicato retaggio culturale mai del tutto estirpato; il simbolo di una ribellione consapevole e affascinante, donna e femmina, ammaliante e spiritosa e nonostante tutto mai volgare. Moana era ambiziosa e non ne faceva mistero; era sfrontata, ma sempre con garbo e aveva classe.

Proprio questi suoi modi sempre eleganti, la voce mai troppo alta, il linguaggio forbito hanno contribuito a far cadere (in parte) i tanti pregiudizi sulle pornodive, svelando l’aspetto assolutamente umano e rispettabile di chi lavora nel porno, e soprattutto rafforzando il concetto di libertà: libertà di scegliere come vivere la propria vita. Un concetto che, per quanto riguarda la donna, in un Paese prettamente cattolico e maschilista come il nostro, è sempre stato condizionato e limitato, nonostante le innumerevoli lotte per la parità sessuale.

Quelli di Moana sono gli anni di Drive in, di Colpo Grosso, de La ruota della fortuna, in cui la figura femminile in tv è relegata a puro sollazzo del maschio italico, una statuina spesso poco vestita che funge da contorno al programma e alla quale non è richiesto null’altro che sorridere e mostrare il proprio bel corpo. Mia nonna diceva sempre che chi lavorava in tv era una bagassa, lascio a voi la libera traduzione.

Oggi dal punto di vista prettamente formale nulla è cambiato: specialmente nel mondo dello spettacolo la donna è sempre considerata un oggetto sessuale (con buona pace di chi si ostina a sostenere il contrario), ma ha raggiunto una consapevolezza maggiore di sé e ha imparato a fregarsene delle etichette e dei giudizi, soprattutto maschili; ha capito l’importanza di poter scegliere chi o cosa essere e non ha più paura di provare piacere nel provare piacere.

Non è più l’uomo che stabilisce le regole, non è più il suo godimento ad essere al centro di tutto: semmai questo dipende da quello della donna e da come e quando lei decide che debba avvenire. L’emancipazione della donna e la sua autodeterminazione sono una grande conquista e quella guerra ha visto in prima linea anche Moana Pozzi, così sfacciatamente fiera di fare l’amore per passione prima ancora che per lavoro, disinibita e orgogliosa della propria sensualità e della propria intelligenza.

Moana non era una dea, non era un mito, semmai una donna che non era disposta a soffocare la propria personalità e i propri desideri, era una persona profondamente lontana dagli stereotipi femminili di quegli anni. Moana era libera. E la libertà è irresistibilmente bella. Come lei.

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