Siamo alla richiesta del plebiscito, dunque. A Matteo Salvini non bastano i voti che possiede, le poltrone che già occupa, la maggioranza politica nel Paese che già esprime. Ha bisogno di un governo monocolore, di un esecutivo formato da fedelissimi per realizzare la fabbrica del fare. “Uomo del fare” si definì Silvio Berlusconi e oggi Salvini ripete il refrain: “fare”. Un verbo che dice tutto e niente. Fare cosa e per chi? Chi aiutare e chi invece no? Chi sostenere? Chi far pagare? Il verbo è perfetto per la campagna elettorale e verrà ripetuto a ogni occasione. I Cinquestelle, apprendisti stregoni, pagano sulla loro pelle l’ingenuità e anche l’avventurismo con cui ihanno dato vita al governo morituro. Hanno pensato, dopo il successo straordinario delle politiche del marzo 2018 (il 33 per cento!) che bastasse una parola magica, il contratto!, a dare il via al cambiamento secolare. Hanno imbarcato i leghisti, ritenendo che la politica non avesse colore né odore. Il contratto, nel caso di una disputa, avrebbe sanato ogni dissidio.

Invece, oplà! Più che un contratto è stata una caciara permanente.

Prima usati e adesso scaricati dai leghisti, il Movimento ha pagato con moneta sonante l’enorme effetto ottico di cui è stato vittima: metà dei voti conquistati l’anno precedente perduti dodici mesi dopo e adesso il conto finale.

Crisi di governo e richiesta di plebiscito agli italiani da parte dell’alleato. Quando si dice la preveggenza!

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