La sostenibilità, tema centrale dell’Agenda 2030 dell’Onu, coinvolge anche gli oceani e i mari. E non potrebbe essere altrimenti, dato che gli oceani coprono quasi tre quarti della superficie terrestre e costituiscono una componente essenziale per la sopravvivenza del pianeta. Tra i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, l’obiettivo 14 è interamente dedicato a “La Vita sott’Acqua”, al fine di garantire la conservazione e l’utilizzo responsabile delle risorse marine. Particolare enfasi è posta sull’influenza delle attività umane – pesca e acquacoltura nello specifico – il cui impatto sugli oceani, le riserve ittiche e gli ecosistemi marini ha ripercussioni critiche.

Secondo l’ultimo rapporto Fao, infatti, nel 2016 la produzione mondiale di pesce ha raggiunto un nuovo picco: 171 milioni di tonnellate, di cui 90,9 milioni di catture e 80 milioni in acquacoltura – una vera e propria desertificazione dei mari. Inoltre, l’88% della produzione, ossia 151 milioni di tonnellate, è stato destinato al consumo umano diretto, a conferma del ruolo centrale degli esseri umani nello sfruttamento delle risorse ittiche marine e d’acqua dolce.

Il costante aumento del consumo pro capite di prodotti ittici a livello mondiale offre una chiara spiegazione a questi dati: da 9 kg nel 1961 siamo arrivati a 20,2 kg nel 2016. Un cittadino dell’Unione europea ne consuma in media 4 kg in più rispetto alla popolazione mondiale, superando la soglia dei 24 kg. E l’Italia? Rispetto al 2015, il consumo pro capite di pesce è cresciuto del 4%, salendo a 31,1 kg nel 2016. Una crescita esponenziale, considerando che solo nel 1960 e nel 2010 il consumo medio annuale si attestava rispettivamente intorno a 10 e 19 kg.

Tuttavia, le attività umane legate alla produzione ittica sono ancora lontane da un modello di sviluppo sostenibile. Principalmente di natura industriale e intensiva, pesca e acquacoltura si inseriscono in un paradigma produttivo orientato al profitto a breve termine che minaccia seriamente oceani, mari e pesci.

La sostenibilità della pesca marittima, infatti, continua a peggiorare. Nel 2015, il 33,1% degli stock ittici mondiali è stato pescato a livelli biologicamente insostenibili, una situazione che la Fao definisce “preoccupante”. La pesca eccessiva costituisce una minaccia non solo per la popolazione marina, ma anche per la salute dei fondali e l’equilibrio degli ecosistemi. Per garantire la sostenibilità delle risorse ittiche a lungo termine è necessario intervenire anche sulle catture accessorie e gli scarti, che rappresentano più del 10,8% delle risorse ittiche pescate a livello mondiale. Questo significa che più di un pesce su dieci viene prelevato accidentalmente e scartato a causa della specie di appartenenza o delle dimensioni non adatte per il mercato.

Per far fronte alla crescente domanda di pesce da parte dei consumatori, e allo stesso tempo per allentare la pressione sugli stock ittici mondiali a disposizione, negli ultimi anni l’acquacoltura ha ricoperto un ruolo chiave. Tra il 2001 e il 2016 i livelli di produzione acquicola sono aumentati a un ritmo annuale pari al 5,8%, costituendo il settore alimentare con il più rapido tasso di crescita al mondo. Nel 2016 la produzione globale di pesce proveniente da acquacoltura ha rappresentato il 53%, superando la pesca come principale fonte di approvvigionamento di prodotti ittici destinati al consumo umano diretto.

Ma anche l’acquacoltura si discosta da un modello auspicabile di sostenibilità. Rischi ambientali e, soprattutto, dubbi di carattere etico fanno vacillare l’idea che gli allevamenti intensivi possano davvero essere la soluzione agli effetti deleteri della pesca industriale. Si può davvero parlare di sostenibilità quando il 12% della produzione ittica mondiale è utilizzato per produrre farina e olio di pesce, a loro volta impiegati per produrre mangimi per l’acquacoltura? Oppure quando i pesci negli allevamenti intensivi versano in condizioni critiche, frutto dell’assenza di un quadro normativo e di una noncuranza diffusa nei confronti della sofferenza di questi animali senzienti?

Secondo le previsioni della Fao, il consumo di pesce nel 2030 aumenterà del 18% rispetto al 2016. La crescita di produzione maggiore proverrà proprio dall’acquacoltura, che raggiungerà i 109 milioni di tonnellate di prodotti ittici – un aumento pari al 37% rispetto al 2016. La portata di questi numeri è tale da indurci a riflettere sulla sostenibilità dei nostri consumi, perché forse la soluzione più efficace non è produrre di più in maniera diversa, ma iniziare a orientare le nostre scelte verso una dieta a base vegetale, in grado di soddisfare nell’immediato esigenze di sostenibilità e di natura etica.

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