Un riff di chitarra di Carlos Santana o un’ouverture di Bach? Pochi di voi sarebbero pronti a scommettere sull’orecchio assoluto di un pesce. Eppure uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Harvard ha dimostrato come alcune specie di pesci siano non solo in grado di discernere tra diversi generi musicali (il blues dalla musica classica), ma di dimostrare preferenze ancora più specifiche: carpe innamorate di Muddy Waters e pesci rossi sedotti da Schubert.

Jonathan Balcombe, etologo e professore dello Humane society institute di Washington, ha raccolto nel libro What a Fish Knows. The Inner Lives of Our Underwater Cousins, da poco edito in America e già tra i best-seller del New York Times, un compendio interessante di recenti ricerche scientifiche e aneddoti che si addentrano nelle vite degli animali più diffusi – a oggi sono 33mila le specie scoperte – e parallelamente meno conosciuti della Terra per dimostrarci come questi siano comunicativi, sociali, e perfino machiavellici.

Abitanti di un ecosistema alieno, che ne rende difficile lo studio e l’osservazione, sono sempre stati percepiti come lontani dalla nostra sensibilità e come tali fuori da qualsiasi preoccupazione morale. Pensiamo che sono da 1 a 3 trilioni i pesci mesopelagici, quelli che vivono tra i 200 e i 1000 metri sotto la superficie del mare, che annualmente finiscono nelle reti della grande pesca intensiva, un numero esorbitante che fa dei pesci gli animali vertebrati maggiormente sfruttati del pianeta.

Come rilevato dal report pubblicato dal Wwf, la conseguenza di questa pesca scellerata è il repentino calo della biomassa ittica e il rischio di estinzione per centinaia di specie. Nel solo Mediterraneo si stima che l’8% delle specie potrebbe scomparire nel giro di pochi decenni, tra queste squali, tonni rossi, naselli. In questo scenario allarmante però, i pesci rientrano a “peso” o nella macro-categoria della “specie”, la loro progressiva diminuzione nei mari una minaccia per la sopravvivenza della pesca stessa; un atteggiamento questo, che funge da viatico alle varie campagne della “pesca sostenibile” del peschiamo meno, peschiamo meglio ma pur sempre peschiamo! In questa politica, non vi è nessuna stima che tenga conto degli individui coinvolti le cui vite, come scrive Balcombe “hanno un valore intrinseco a prescindere da qualsiasi valore utilitaristico che potrebbero avere per noi”.

Ed è proprio questo il punto e l’intento del lavoro di Balcombe, dimostrare come, a discapito di quanto comunemente si pensa, i pesci siano esseri senzienti, emotivi, socialmente complessi dotati di comportamenti estremamene raffinati e affascinanti. In sostanza, “animali che possiedono una biografia oltre a una biologia”.

E in tal senso, nel suo libro le prove non mancano. Scopriamo che il pesce elefante (Gnathonemus petersi) comunica utilizzando delle scosse elettriche che gli permettono di collaborare, ad esempio nella caccia collettiva, di avvisare i compagni dell’arrivo di un predatore e trasmettere emozioni come l’aggressività o la paura, mentre che la più sfacciata aringa (Clupea harengus) usa le proprie flatulenze per comunicare con i propri conspecifici. Il pesce Gobbetto (Lepomis gibbosus) invece è meglio di un tom-tom! Durante l’alta marea organizza una mappa mentale del suo territorio da poter sfruttare quando la marea si abbassa e si trova a vivere nelle pozze d’acqua rimaste. All’arrivo di un predatore, il salto che compirà verso la nuova buca sarà precisissimo forte della sua rappresentazione territoriale.

Ci sono poi alcuni comportamenti che da sempre sono stati ritenuti come distintivi delle specie con un’intelligenza “superiore” (come le scimmie, i delfini e gli elefanti) ovvero il riconoscersi allo specchio o l’utilizzo di strumenti. Ebbene, anche qui i pesci non smettono di stupirci. Lo scorso marzo, uno studio condotto da ricercatori delle Bahamas ha dimostrato come due mante coinvolte nella ricerca interagissero socialmente con le loro immagini riflesse in uno specchio confermando di possedere una coscienza del sé. Anche per ciò che riguarda l’utilizzo degli strumenti, il Choerodon anchorago, un pesce tropicale diffuso nelle barriere coralline dell’Oceano Pacifico, è stato ripreso mentre scandaglia il fondale sabbioso alla ricerca di molluschi, una volta trovata la conchiglietta l’afferra con la bocca e la rompe sbattendola contro la roccia con una serie di abili colpi di testa (vedere per credere). Questo comportamento va al di là del semplice utilizzo dello strumento, significa aver la capacità di valutare la situazione, pianificare una serie di azioni, avere un obiettivo.

Abilità che diventano ancor più sorprendenti se lasciamo per un attimo il mondo dei pesci per entrare in quello dei polpi. Cefalopodi dalla storia antichissima, hanno dimostrato di avere capacità incredibili nel risolvere problemi complessi, nel costruirsi ripari e nel sapersi mimetizzare con l’ambiente che li circonda. In un video vengono ripresi non solo mentre cambiano colore ma mentre assumono le fattezze e le rugosità del corallo sul quale si adagiano secondo un’arte mimetica che ha dello straordinario!

E in supporto alla nostra recente indagine sulla pesca del polpo in Italia, che ha documentato i metodi crudeli con cui questi animali vengono pescati lungo le coste italiane in numero tutt’altro che irrisorio (oltre 3000 tonnellate di polpi pescati annualmente), è intervenuto proprio Balcombe: “Di tutti gli invertebrati i polpi hanno forse la più alta complessità percettiva e di comportamento, che include emozioni, personalità, capacità di gioco e di risolvere problemi. Possiamo e dobbiamo trattarli meglio“.

Spesso si crede che una piccola dimensione sia sinonimo di scarse capacità ma l’elettronica ci ha dimostrato proprio il contrario. Pesci e cefalopodi come il polpo, in corpi minuti, hanno sviluppato capacità sorprendenti, hanno saputo relazionarsi sapientemente con il loro ambiente affinando risposte specifiche agli scacchi che man mano hanno dovuto affrontare. Da qui e attraverso la miriade di testimonianze che hanno come protagonisti gli animali marini, urge ripensare il nostro rapporto con loro in un’ottica più compassionevole. Il modo più semplice per farlo è smettere di consumarli e lasciarci meravigliare dalla bellezza della vita che scorre sotto il pelo dell’acqua.

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