Il tempo per leggere dilata il tempo per vivere. Ma dopo aver letto Prigionieri del presente (edizioni Einaudi), scritto da Giuseppe De Rita e Antonio Galdo, che racconta la storia dell’ultima sconfitta dell’uomo contemporaneo, dunque di tutti noi, una cruda verità: non riusciamo più a governare il tempo. Anzi è lui a governare noi. Basta guardarsi allo specchio, ricostruire i tasselli delle nostre giornate, e scoprire come siamo diventati schiavi di un eterno presente, un’incessante sequenza di attimi. Dove dominano la fretta (che deriva dal latino fricare, e dunque ci “frega” sempre), lo stress, l’ansia. Dove i rapporti reali sono sostituiti da quelli virtuali, sempre regolati dalla legge “dell’ora e subito”.

Per quanto il libro descriva una vera crisi antropologica, si tratta di un testo ispirato all’ottimismo, ovvero alla possibilità, come recita il sottotitolo in copertina di Uscire dalla trappola della modernità. Come? Innanzitutto con una consapevolezza: il tempo è per sua natura lineare, ha una continuità che dalle radici del passato porta fino ai sogni del futuro. Ridurlo a una dimensione circolare significa snaturarlo, privarlo di senso. E significa non camminare più nella storia, ma riuscire solo a zoppicare nel presente. In secondo luogo, cercando di non restare schiacciati dalla tecnologia che domina e ci domina. Per esempio: l’estate non vi sembra una stagione giusta per qualche forma di “digiuno digitale”? Magari light, ma molto efficace per il nostro cervello e anche per la profondità dei nostri spazi di intimità.  Rimanere un po’ sconnessi per connettersi con noi stessi.

Terzo: di fronte a un senso di caos che ci pervade, invece di inseguire gli istanti e la frammentazione, anche della conoscenza, è bene riscoprire il piacere dell’approfondimento. Di una buona lettura. Ottima forma di prevenzione anche contro il delirio delle fake news.

Il Presentismo (la parola è un copyright di De Rita/Galdo) ha ormai rotto gli argini, nella vita privata come in quella pubblica. In politica, ridotta a una babele di tweet e di battute; in economia, dove dilaga la super velocità dei “lavoretti” (che significano sfruttamento e fine del lavoro); nel linguaggio, violentato da parolacce e dall’impoverimento di una lingua pure nobilissima e ricca, come l’italiano.

Scrivono De Rita e Galdo: “Guai a rassegnarsi, la partita è aperta, e anzi si tratta di una sfida appassionante per riportare la modernità sotto la nostra potestà. Se il presente ci schiaccia come singole persone, come comunità e poi come società, è da questa sequenza di bersagli che bisogna ripartire, consapevoli dell’importanza della posta in gioco. Un nuovo ciclo avrà la sua genesi nelle risposte che, innanzitutto come individui, riusciremo a dare alle due grandi domande che angosciano il mondo trasformato dalla globalizzazione. La sicurezza, come garanzia di diritti e di doveri condivisi; la possibilità di crescere nel benessere, di avere generazioni future che non siano condannate a ritrovarsi impoverite rispetto alle precedenti. E saranno loro, le nuove generazioni, a prendere in mano il testimone di una rivoluzione che sentiamo ogni giorno più necessaria: nel nome dell’uomo che si vuole liberare dalla schiavitù del presente”. Alla fine siamo messi meglio di quello che crediamo.

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